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425. Affrancato dall’illusione degli oggetti sensoriali, il Saggio dimora costantemente in identità col Brahman. Se gli viene offerta qualche cosa, il godimento che può provare non è che apparente, infatti si comporta come un individuo semi-addormentato o come un bambino perché non accorda a questo mondo transeunte nessun valore, come non ne accorda alcuno ad un’allucinazione onirica. Di tutto ciò egli ha solo una conoscenza fortuita. Un tale essere è raro sulla terra; ma egli raccoglie il frutto di innumerevoli meriti e va a lui ogni venerazione e benedizione.
426. Quest’essere di ferma sapienza dimora in identità col Brahman, esprimendo la beatitudine inalterabile, di là da ogni modificazione e da ogni attività.
427. Quando la mente riconosce l’identità dell’ātman col Brahman, quando ha trasceso le sovrapposizioni e quindi la dualità, quando è permeata dalla pura conoscenza, è chiamata suprema illuminazione. Colui che ha questa illuminazione è conosciuto come un essere di ferma sapienza.
428. Colui che ha questa ferma sapienza, che svela l’interna beatitudine e che ha dimenticato l’universo dei fenomeni è considerato un jivanmukta.
429. Colui che è in identità col Brahman, conservando nondimeno una completa vigilanza e che nello stesso tempo si è affrancato dalle qualità dello stato di veglia, per cui la conoscenza non proviene dai dati forniti dalle vāsanā (non è, quindi, conoscenza sensoriale), è considerato un jivanmukta.
430. Colui che ha placato ogni inquietudine per il samsāra, che, quantunque possessore di un corpo composto di parti, rimane in se stesso senza parti, e la cui mente si è affrancata da ogni irrequietezza, è considerato un jivanmukta.