Le Upanisad sono un gruppo di 108 trattati filosofici, in prosa e in versi, che compaiono in epoche differenti, suddivisi come conclusione o chiosa filosofica ai quattro libri dei Veda.
Alle Upanisad spetta il compito di ammonire l'aspirante che il compimento dei sacrifici e degli obblighi religiosi, da solo, non libera l'uomo dal ciclo delle rinascite, e le Upanisad delineano definitivamente la Conoscenza come il solo mezzo per la Liberazione.
Ecco come Sankara, introducendo il testo della Svetasvatara Upanisad, definisce il carattere di queste Scritture
« [...] la Conoscenza di Brahman che concede il Bene supremo è designata come Upanisad perché frantuma e distrugge l'avidya o l'ignoranza e i semi del samsara in quei ricercatori della Liberazione i quali, avendo perduto ogni sete per per gli oggetti veduti sulla terra o di cui hanno udito come esistenti in cielo, ricercano questa Conoscenza con totale fermezza e devozione.» (in Aparoksanubhti, Ed Asram Vidya) Cosa, dunque, è necessario sapere? « Mio caro, tutti questi esseri hanno l'Essere puro per fonte, hanno l'Essere come dimora e hanno l'Essere come fondamento.» (Chandogya Up. VI,viii, 4)
«Tu sei Quello » (Chandogya Up. VI, viii, 7)
Realizzare questa perfetta verità non comporta sacrifici, oblazioni o complicati rituali, ma quello spirito di perfetta rinuncia, di distacco, di pura contemplazione, che conduce alla gioia senza oggetto, alla Consapevolezza del Sé imperituro, oltre ogni guadagno terreno e ultraterreno, oltre il mondo degli uomini, dei Mani e degli Dei.
« Il grande Sé increato, che si identifica con la mente e con il centro delle facoltà, riposa nello spazio all'interno del cuore. E' l'Ordinatore Interno di tutto ciò che esiste, il Signore e il Regolatore di tutto. Non cresce mediante le buone azioni e non è sminuito dalle cattive. E' il Signore di tutti gli esseri, l'Ordinatore di tutti gli esseri, il Protettore di tutti gli esseri. E' la diga che trattiene i mondi dal precipitare nel caos. I Brahmani cercano di conoscerlo attraverso lo studio dei Veda, i sacrifici, la carità e la rinuncia al godimento degli oggetti dei sensi. Colui che Lo conosce diviene saggio; i monaci, desiderando di conoscerlo in questa vita, abbandonano le loro case. Gli antichi saggi, infatti, non desideravano avere figli poiché pensavano:"Cosa ancora potremmo ottenere dai figli, se abbiamo realizzato il Sé già in questa vita". Così, è detto, essi rinunciarono al desiderio di prole, di ricchezze mondane e condussero vita da mendicanti. Poiché è il desiderio di figli che è anche desiderio di ricchezza, e questo è il desiderio di mondi, ma tutti questi non sono altro che bramosia. Questo Sé è Quello di cui è detto "Non questo, Non questo". Esso è impercettibile, poiché non può essere percepito; indistruttibile, poiché non può essere distrutto; inattaccabile, perché nulla lo può attaccare; libero, saldo, illeso. Come il saggio non può essere sopraffatto dai due pensieri: "ho fatto la cosa giusta; ho fatto la cosa sbagliata" poiché li sovrasta entrambi. Le cose compiute e quelle che ha omesso di fare non lo angustiano.
Ciò è espresso nell'inno che dice: "L'eterna gloria del conoscitore del Brahmam non cresce e non è sminuita dalle opere. Perciò si ricerchi di comprendere la natura di questo soltanto, poiché conoscendola non si è più macchiati da alcun peccato" Dunque colui che così conosca acquisti saldo controllo di sé, e calmo, raccolto in sé stesso, saldo e concentrato, comprenda il Sé nel suo stesso sé; così facendo egli perviene a vedere il Sé in tutto. Il Male non trionfa su di lui, ma egli trascende ogni male. Il male non lo mette in difficoltà, poiché egli consuma ogni male. Questi diviene senza peccato, senza forma, libero da ogni dubbio e vero conoscitore del Brahman. Questo è il mondo del Brahman, o re, e tu l'hai conquistato", concluse Yajnavalkya. E il re "Ti darò l'impero dei Videha, signore, e me stesso per poterti servire".» (Brhadaranyaka Up. IV, 22-23)
Il brano citato termina con l'offerta di ogni bene e della propria persona al Maestro che ha illustrato il fine della Conoscenza, da parte del discepolo nella cui coscienza si è destata l'istanza della Liberazione, ove cade ogni altro desiderio, ogni attaccamento diventa inutile, ogni ambizione vana.
La consapevolezza dell'imperituro, o il discernimento, come lo definirà Sankara, tra il Reale e il non Reale è quello che spontaneamente fuoriesce dalle parole del giovane Naciketas, protagonista della Katha Upanisad, che trovatosi di fronte a Dio della Morte lo interroga sulla verità, declinando qualsiasi altro dono. La rinuncia al mondo, non solo come entità materiale, ma anche e soprattutto come atteggiamento della coscienza, è rimarcata in varie Upanisad come presupposto della Liberazione, così come la purificazione del cuore, che si consegue mediante le opere, lo studio, la devozione al Maestro. Questo atteggiamento discente e rinunciante accompagna l'uomo la cui coscienza va verso lo stabilizzarsi nel Sé supremo, abbandonando mano a mano le sovrapposizioni della mente, le false identificazioni del sé.
«Gli asceti entrano in ciò che è al di là del firmamento (nakam), [che vive] celato nella caverna e che rimane immensamente brillante; tramite la conoscenza comprendono il senso del Vedanta; con purezza mentale e con la rinunzia trovano la Liberazione - che trascende la stessa morte - nel mondo di Brahman.» (Kaivalya Up., cap.3 ).
« Si deve riassorbire [la mente] nel cuore fino alla cessazione [della sua attività], ciò è conoscenza e meditazione, il resto è esposizione libresca.
Non è concepibile né inconcepibile, è concepibile e nello stesso tempo inconcepibile; [così comprendendo] si realizza il Brahman senza parti. Lo Yoga, per realizzare lo stato supremo, si esegue con il suono completamente indistinto. Con [il suono] indistinto si favorisce lo stato dell'Essere, non quello del non-essere.
Questo [Essere] è in effetti Brahman indiviso, esente da differenziazione, senza macchia. Questo Brahman è me stesso (brahmaham). Realizzando questa conoscenza si realizza il Brahman, questo è certo.» (Amrtabindu Up. 5-8).