CAPITOLO 5: La conversazione della Devi col messaggero
Meditazione di Maha Saraswati. Medito l'incomparabile Maha Saraswati che tiene nelle sue (otto) mani di loto, la campana, il tridente, l'aratro, la conchiglia, la mazza, il disco, l'arco e la freccia; che splende come distruttrice di Shumbha e degli altri asura, che è emanata dal corpo di Parvati ed è il fondamento dei tre mondi.
5.1 OṀ klīm. Disse il Rishi:
5.2. Ci fu tempo in cui la sovranità di Indra sui tre mondi e sui sacrifici fu strappata dagli asura Shumbha e Nishumbha, ebbri di orgoglio e di violenza.
5.3. I due presero il posto del sole, della luna, di Kubera, di Yama e Varuna.
5.4. Esercitarono l'autorità di Vayu ed la funzione di Agni. Privati delle loro sovranità, i deva furono sconfitti.
5.5. Privati delle loro funzioni e destituiti da questi due grandi asura, tutti i deva si rivolsero all'invincibile Devi.
5.6. 'Lei ci aveva accordato il beneficio che: "Ogni qualvolta nella calamità voi pensate a me, in quello stesso momento io porrò fine a tutte le vostre miserie". '
5.7. Risolvendo così, i deva andarono da Himavat, signore delle montagne e là celebrarono la Devi che è Vishnumaya. 5.8 I deva dissero:
5.9. "Sia lode alla Devi, la Mahadevi. Sia lode a Lei che sempre è benevola. Sia lode a Lei che è la causa primordiale e la sempre compassionevole. Colmi di speranza, noi ci inchiniamo a Lei.
5.10. Sia lode a Lei che è terribile, a Lei che è eterna. Sia lode a Gauri, l'eterna e luminosa, la sostenitrice dell'Universo. Sia lode a Lei che è della forma della luna, che è luce lunare e la felicità.
5.11. Noi ci inchiniamo a Lei chi è benevola; Sia lode a Lei che è la prosperità ed il successo. Sia lode alla consorte di Shiva che è la buona sorte e la disgrazia dei re.
5.12. Sia lode a Durga, che ci guida attraverso le difficoltà, che è l'origine e l'essenza di tutto il creato, che è la conoscenza suprema e che appare scura come fumo.
5.13. Noi ci prostriamo di fronte a Lei che è la più gentile e la più terribile. Sia lode a Lei che è il sostegno del mondo. Sia lode alla Devi che è la forma della volontà.
5.14-16. Sia lode alla Devi che in tutti gli esseri è chiamata Vishnumaya; Sia lode a Lei (3)
5.17-19. Sia lode alla Devi che risiede in tutti gli esseri come coscienza; Sia lode a Lei (3)
5.20-22. Sia lode alla Devi che risiede in tutti gli esseri nella forma dell'intelligenza; Sia lode a Lei (3)
5.23-25. Sia lode alla Devi che risiede in tutti gli esseri nella forma del sonno; Sia lode a Lei (3)
5.26-28. Sia lode alla Devi che risiede in tutti gli esseri nella forma di fame; Sia lode a Lei (3)
5.29-31. Sia lode alla Devi che risiede in tutti gli esseri nella forma della riflessione; Sia lode a Lei (3)
5.32-34. Sia lode alla Devi che risiede in tutti gli esseri nella forma del potere; Sia lode a Lei (3)
5.35-37. Sia lode alla Devi che risiede in tutti gli esseri nella forma della sete; Sia lode a Lei (3)
5.38-40. Sia lode alla Devi che risiede in tutti gli esseri nella forma del perdono; Sia lode a Lei (3)
5.41-43. Sia lode alla Devi che risiede in tutti gli esseri nella forma della specie; Sia lode a Lei (3)
5.44-46. Sia lode alla Devi che risiede in tutti gli esseri nella forma della modestia; Sia lode a Lei (3)
5.47-49. Sia lode alla Devi che risiede in tutti gli esseri nella forma della pace; Sia lode a Lei (3)
5.50-52. Sia lode alla Devi che risiede in tutti gli esseri nella forma della fede; Sia lode a Lei (3)
5.53-55. Sia lode alla Devi che risiede in tutti gli esseri nella forma della bellezza; Sia lode a Lei (3)
5.56-58. Sia lode alla Devi che risiede in tutti gli esseri nella forma della buona fortuna; Sia lode a Lei (3)
5.59-61. Sia lode alla Devi che risiede in tutti gli esseri nella forma dell'attività; Sia lode a Lei (3)
5.62-64. Sia lode alla Devi che risiede in tutti gli esseri nella forma della memoria; Sia lode a Lei (3)
5.65-67. Sia lode alla Devi che risiede in tutti gli esseri nella forma della compassione; Sia lode a Lei (3)
5.68-70. Sia lode alla Devi che risiede in tutti gli esseri nella forma dell'appagamento; Sia lode a Lei (3)
5.71-73. Sia lode alla Devi che risiede in tutti gli esseri nella forma della madre; Sia lode a Lei (3)
5.74-76. Sia lode alla Devi che risiede in tutti gli esseri nella forma dell'errore; Sia lode a Lei (3)
5.77. Sia lode alla Devi che tutto pervade e che continuamente presiede sui sensi di tutti gli esseri e (governa) tutti gli elementi;
5.78-80. Sia lode a Lei che, pervadendo il mondo intero, risiede nella forma della coscienza.
5.81. Invocata a lungo dai deva per soddisfare i loro desideri, adorata dal signore dei deva ogni giorno, possa lei, Isvari, la fonte di ogni Bene, mostrare la sua benedizione e porre fine alle nostre calamità!
5.82. Sottoposti ai tormenti dei demoni ostili, noi dei adesso la onoriamo, Lei che è il potere supremo. Ci chiniamo a lei con devozione, ricordiamo Colei che distrugge tutte le afflizioni.". 5.83 Disse Il Rishi:
5.84. Oh Principe, mentre i deva erano così impegnati nella lode e nell'adorazione, Parvati li raggiunse per bagnarsi nelle acque del Gange.
5.85. Lei, la bellissima, disse ai deva, "Chi state lodando?” Una dea benevola emerse dal suo corpo e rispose:
5.86. "Questo inno è indirizzato a me dall'assemblea dei deva che sono stati sconfitti dagli asura Shumbha e Nishumbha.
5.87. Poiché Ambika era uscita dal corpo di Parvati, lei è conosciuta come Kaushiki.
5.88. Allora Parvati si fece scura e fu chiamata Kalika e si insediò sull'Himalaya.
5.89. Poi, Chanda, e Munda, due servitori di Shumbha e Nishumbha, videro che Ambika (Kaushiki) aveva un aspetto affascinante. I due dissero a Shumbha:
5.90. "Oh Re, una donna sconosciuta, di bellezza insuperabile, abita splendente sul monte Himalaya.
5.91. Una bellezza così suprema non fu vista mai da nessuno in nessun luogo. Dovresti scoprire chi sia quella Dea e prendere possesso di lei, Oh Signore degli asura!
5.92. Una gemma fra donne, con fattezze squisitamente belle, è lì che illumina tutto ciò che la circonda, Oh Signore dei daitya. Tu dovresti vederla.
5.93. Oh Signore, gioielli, pietre preziose, elefanti, cavalli e qualsiasi cosa ci sia nei tre mondi, tutto ciò è già in tuo possesso a decorare la tua casa.
5.94. A Indra hai preso Airavata, il più prezioso fra gli elefanti, l'albero di Parijata (corallo celeste) e il cavallo Uccaihsrava.
5.95. Nel Tuo cortile c'è il carro meraviglioso portato dai cigni, l'artefatto più eccellente, che hai sottratto a Brahma.
5.96. A Kubera hai preso il tesoro chiamato Mahapadma. E l'oceano ha rinunciato alla ghirlanda Kinjalkini, fatta da fiori di loto che non appassiscono.
5.97. In casa Tua c'è già l'ombrello d'oro di Varuna e il carro perfetto che era stato di Prajapati.
5.98. Da Te, Oh Signore, hai preso l'arma della Morte chiamata Utkrantida. Il cappio del re degli oceani è in possesso di tuo fratello.
5.99. Nishumbha ha preso tutte le gemme prodotte dal mare. Il Dio del Fuoco gli diede anche gli indumenti purificati dal fuoco.
5.100. Così, Oh Signore degli asura, tutte le gemme più preziose sono state prese da Te. Perché questa gemma tra le donne non è già tua?". 5.101 Disse il Rishi:
5.102. Sentite queste parole da Chanda e Munda, Shumbha ordinò a Sugriva il grande asura di andare come suo messaggero dalla Devi. Gli disse:
5.103. "Vai da lei e parlale da parte mia con tali parole che lei decida di correre da me."
5.104. Sugrīva si recò alla splendente dimora della Dea sulla montagna e le parlò con parole dolci e untuose. 5.105 Il messaggero disse:
5.106. "Oh Devi, Shumbha, signore degli daitya è il sovrano supremo dei tre mondi. Mandato da lui come messaggero, io sono venuto qui alla Tua presenza.
5.107. Presta attenzione a quello che è stato detto da lui, al cui comando nessuno fra i deva ha mai opposti resistenza e che ha vinto tutti i nemici degli asura. Così lui ha detto di riferirti:
5.108. "Tutti i tre mondi sono miei e i deva sono sottomessi a me. Io ricevo tutte le loro offerte date loro in sacrificio.
5.109. Tutte le gemme più preziose dei tre mondi sono di mio possesso; tra gli elefanti possiedo Airavata, il veicolo che era di Idra.
5.110. I deva stessi offrirono a me con reverenza quella gemma tra i cavalli chiamato Uccaisravas che sorse dall'oceano di latte.
5.111. Qualsiasi altro oggetto prezioso sia stato dei mondi celesti ora è mio.
5.112. Noi ti reputiamo, Oh Devi, come il gioiello più prezioso fra le donne. Dunque, vieni con me, poiché da noi apprezziamo gli oggetti migliori.
5.113. Scegli tra me o il mio giovane fratello valoroso Nishumbha, per il quale i tuoi occhi brillanti valgono più dei gioielli.
5.114. Sposando me, avrai potere e dominio oltre ogni immaginazione. Valuta questo a mente lucida e diventa mia moglie". 5.115 Disse Il Rishi:
5.116. Così detto, Durga l'adorabile e benevola, da cui questo universo è sostenuto, sorrise e disse queste parole al messaggero. 5.117 Disse la Devi:
5.118. "Tu hai detto la verità; nulla di falso è stato detto da te sulla questione. Shumbha è davvero il sovrano dei tre mondi e lo è anche Nishumbha.
5.119. Come posso rimangiarmi le mie parole? Ascolta quale voto avevo pronunciato senza riflettere:
5.120. Solo colui che mi conquisterà in battaglia, che schiaccerà il mio orgoglio e che è mio pari per forza nel mondo, sarà mio marito.
5.121. Perciò lascia che Shumbha venga qui, o Nishumbha il grande asura. A quello che mi batterà, gli permetterò di prendere la mia mano in matrimonio. Perché rimandare?". 5.122 Il messaggero disse:
5.123. “Oh Devi, Tu sei arrogante. Non parlare così di fronte a me. Quali uomini nei tre mondi possono superare Shumbha e Nishumbha?
5.124. In verità, nemmeno i Deva possono sostenere un confronto in battaglia con gli asura. Come potresti tu, Oh Devi, una donna?
5.125. Indra e tutti gli altri deva non hanno potuto vincere in battaglia Shumbha e gli altri demoni, come potrai tu, una donna, affrontarli?
5.126. Ascoltami, vai da Shumbha e Nishumbha (di tua volontà). Non subire l'oltraggio di essere trascinata per i capelli.” 5.127 Disse la Devi:
5.128. "Così deve essere. Shumbha è forte e Nishumbha è molto coraggioso, ma cosa posso farci? Già da molto tempo ho espresso il mio voto
5.129. "Ritorna, e ripeti attentamente al signore degli asura tutto ciò che ho detto. E quindi accada quello che deve accadere."
CAPITOLO 6 L'uccisione di Dhūmralocana
6.1 Il veggente disse:
6.2 "Sentendo le parole della Devī, il messaggero si riempì di indignazione. Tornò dal re dei daitya e raccontò tutto con grande precisione.
6.3 Ascoltando il rapporto del suo messaggero, il re degli asura si arrabbiò e disse a Dhūmralocana, il capo dei daitya:
6.4 “Dhūmralocana, affrettati con il tuo esercito e porta quella vile donna qui con la forza, trascinandola per i capelli, con i calci e con le grida.
6.5 Se qualcuno si alza per salvarla, anche un dio o un altro essere celeste, deve essere ucciso.”
6.6 Il veggente disse:
6.7 “Comandato così da Śumbha, il daitya Dhūmralocana partì in fretta, accompagnato da sessantamila asura.
6.8 E quando vide la Devī ferma sulla montagna innevata, tuonò: "Vieni alla presenza di Śumbha e Niśumbha.
6.9 E se sua altezza non sarà contenta di venire dal mio padrone adesso, la prenderò con la forza, trascinandola per i capelli, pur se scalciando e urlando." 6.10 La Devī disse:
6.11 “Tu sei mandato dal signore dei daitya, sei potente e sei accompagnato dal tuo esercito. Se mi prendi con la forza, cosa posso fartci io?" 6.12 Il saggio disse:
6.13 “Provocato così direttamente, l'asura Dhūmralocana si precipitò verso di lei. A quel punto, con uno sprezzante grido, Ambikā lo ridusse in cenere.
6.14 Il grande esercito dell'asura, in risposta, fece cadere una pioggia di frecce acuminate, lance e asce su Ambikā.
6.15 Quindi il leone, montato dalla Devī, scosse rabbiosamente la criniera. Emettendo un ruggito terrificante, balzò sull'esercito dei demoni.
6.16 Con i colpi delle zampe, uccise alcuni daitya e ne stritolò altri tra i denti. E calpestava altri potenti asura sotto le zampe posteriori.
6.17 Con gli artigli, il leone strappò le viscere di alcuni e decapitò altri con un colpo di zampa.
6.18 Strappò le braccia e la testa di altri, e scuotendo la criniera, lambì il sangue dalle pance degli altri.
6.19 In un attimo il nobile leone infuriato che trasportava la Devī provocò la distruzione di tutto quell'esercito.
6.20 Quando Shumba seppe che la Devī aveva ucciso l'asura Dhūmralocana e che il suo leone aveva distrutto tutto il suo esercito,
6.21 Il re dei daitya, tremò di rabbia. Con il labbro inferiore tremante, comandò ai due grandi asura, Caṇḍa e Muṇḍa:
6.22 “Canda! Munda! Andate lì con uno smisurato esercito e portatela qui subito,
6.23 afferrandola per i capelli o legandola. Ma se avete timore, allora lasciate che tutti gli asura la attacchino e con tutte le loro armi la finiscano in battaglia.
6.24 Quando quella spregevole donna sarà stata ferita e il suo leone ucciso, afferratela, legatela e portala qui senza indugio!"
Commento
Meditazione su Mahāsarasvatī: Mahāsarasvatī, che presiede la terza carita, è il Devī dell'aspetto sattvico. Ha otto mani, che detengono i simboli dei suoi poteri. In comune con Mahākālī
o Mahālakṣmī, tiene in mano la campana, il tridente, la conchiglia, la mazza, il disco, l'arco e le frecce. Solo l'aratro è nuovo, e il suo evidente simbolismo si riferisce alla fertilità agricola. Ma metaforicamente, l'aratro solca la coscienza individuale, creando impressioni feconde e permettendo ai semi di saggezza di germogliare. La carnagione di Mahāsarasvatī è bianca, a significare il sattva guṇa e le sue proprietà di purezza e conoscenza. Le meravigliose immagini che paragonano la sua bellezza a quella della luce della luna che splende sul bordo di una nuvola esprime anche la sua natura gentile e propizia.
Il bīja klīm indica la natura essenziale di Devī come pura beatitudine (ānanda). Come notato in precedenza, i mantra tantrici bīja che aprono le tre carita - aiṁ, hrīm e klīṁ - equiparano la Divina Madre, o Śakti, con saccidānanda — essere, coscienza e beatitudine — espresso dal bīja vedico mantra OṀ. Pertanto le tre carita del Devīmāhātmya riflettono a loro volta i tre aspetti essenziali della Madre.
La storia prosegue raccontando come ancora una volta gli asura, che rappresentano le forze del caos, l'antitesi dell'ordine (ṛta, dharma) —sottraggono ciò che è giustamente la sovranità degli dei.
Questa vicenda avvia l'Aparājitāstuti ("Inno all'Invincibile Devī", 5,9–82). Questo inno è la grande celebrazione dell'immanenza della Devī, lodando i suoi vari aspetti dall'astrazione senza forma di supremo potere a forme specifiche assunte da quel potere. Pertanto, ogni modulo offre la possibilità di un modo tangibile di relazionarsi con il Divino. La parte centrale dell'inno (5,14–76) è costituita dalla ben nota litania di ventuno ślokas quasi identici, di cui diciannove differiscono l'uno dall'altro solo per una parola. In ogni caso quella parola è l'elemento iniziale del composto che termina con -rūpeṇa, che significa "nella forma di ..." Ciascuna parola è un nome femminile che esprime un attributo o un'astrazione personificata della divinità. Per quanto possibile, cerchiamo di dare un commento dei versi più significativi dell'inno.
Cetana: possiamo definire Cetana come uno stato di consapevolezza che è emerso dall'assoluto, coscienza immutabile (cit o saṁvit) e sviluppa la distinzione tra soggetto e oggetto.Cetana è sia percipiente che percettibile, e non solo segnala l'evento cosmico del dispiegarsi della creazione ma risiede anche all'interno di ogni individuo come il corpo causale (kāraṇaśarīra), noto anche come guaina della beatitudine (ānandamayakośā). È il velo di nescienza (avidyā) che copre il sé luminoso, ātman, e sembra limitare la coscienza infinita.
Buddhi, lo strumento dell'intelligenza, discernimento, determinazione, ragione e volontà. Sebbene sia una manifestazione limitata della coscienza, è la più alta facoltà della mente umana e possiede il potenziale potere della rivelazione divina. Secondo Kathopaniṣad, “Il Sé, nascosto in tutti gli esseri, non risplende [prontamente] ma viene visto dai veggenti di cose sottili con la buddhi focalizzata ”(KU 1.3.12).
Il tema della fame (kṣudha) si presenta nel Devīsūkta, dove Vāk rivela che: “Attraverso di me ogni mortale vive [letteralmente, "mangia cibo"], respira e ascolta parole sensate, non
sapendo che dimora in me ”(ṚV 10.125.4). La controparte della fame è la pienezza, pūrṇa, che è la chiave per la comprensione superiore di questo verso. Pūrṇa è un epiteto dell'Assoluto, che è completo in sé: “Quel [Brahman] è infinito (pūrṇam), questo [universo] è infinito (pūrṇam). Dall'infinito [Brahman] (pūrṇāt) emana tutto [questo universo] (pūrṇam),. . . ma l'infinito [Brahman] (pūrṇam) rimane infinito (unico) ”(BU 5.1.1).
Chaya significa "tonalità" o "ombra". Nell'universo fisico è una manifestazione visibile di tamas che risulta dall'ostruzione della luce. Metaforicamente, il chāyā è il blocco della luce di
pura coscienza per il potere velante di Mahāmāyā.
La parola śakti significa "potere, abilità, forza, energia". Come nome comune, śakti indica anche il potere di qualsiasi dio maschio, come sua consorte. (Incontreremo molti di queste śakti nel corso della narrazione di Medhas.) Quando maiuscolo, Śakti è al singolare, supremo potere, considerato femminile. Tutto nell'universo non è altro che la stessa Divina Madre, che brilla vibrante in ogni forma. La Kahopaniṣad insegna che il sole, la luna, le stelle, i lampi e il fuoco non brillano dalla loro stessa luce, ma del Brahman: "Quello splende e tutto risplende" (KU 2.2.15). In termini Śākta, potremmo dire: "Lei brilla, tutto brilla".
La sete (tṛṣṇā), come la fame (5.26), ha una forma grossolana, coinvolta nel sostenere la vita fisica, e un significato allegorico. Sete è la condizione del deserto, la condizione in cui la potenza interna sembra prosciugata. E' esperienza dei mistici attraversare questo deserto, che in forma di Sete, dice l'inno, è proprio la Devi a metterlo in atto, a impersonarlo. Lei è la sete e lei è il deserto. Lo yogi è colui che deve trovare la fonte, "andare alla fonte" è una metafora delle cammino spirituale. Anche nel mito vedico, accennato nel cap. 11 del DM, un demone aveva rinchiuso le acque, e la maestà di Indra fu dimostrata dalla possibilità di liberare di nuovo l'arka, lo splendore delle acque, che fluì di nuovo copiosamente.
Kṣānti ("Perdono, pazienza") è uno dei tanti attributi propizi nominati nell'inno. Il perdono autentico, il distacco autentico, sono dati dalla possibilità, che si attua nel perdono, di osservare un quadro di insieme, in cui le tensioni contrarie sono ricomposte in armonia. Comprendere “il disegno”, non significa semplificare le cose, annullare il male fatto o subito, ma vedere invece la complessità e l'interdipendenza. Perciò occorre abbandonare la visione personalistica e convenzionale per comprendere il gioco più vasto e impersonale del mondo, come presenza divina.
La parola jāti ("ordine") deriva dalla radice jan, che significa "nascere, entrare nell'esistenza." Jāti è la forma di esistenza determinata dalla nascita: il genere, la specie o la classe a cui appartiene ogni cosa. La specificità e l'ordine in cui le cose sono disposte e collegate secondo identità e genealogia, è Jati.
L'epiteto lajjā come "modestia" si trova in tutti e quattro gli inni del Devīmāhātmya e nei due del Mahābhārata anche negli inni a Durgā. Il Durgāstotra collega inoltre la modestia con la buona fortuna e l'intelligenza. Lajja rappresenta anche le cose che devono essere tenute segrete e custodite con il silenzio, come la conoscenza iniziatica.
Śānti , “pace” è una condizione attesa nel mondo spesso pieno di conflitti. spiritualmente, śānti è la pace interiore che viene dalla conoscenza superiore che lenisce e alla fine ci libera
dall'attaccamento al corpo fisico, dalle esperienze sensoriali e dagli stati mentali in continuo mutamento. È uniformità della mente nella felicità e nel dolore. Nell'Harivamśa, Śānti è personificata come figlia di Sraddhā, l'argomento del verso successivo.
Śraddhā ("fede") era inizialmente inteso come fiducia da parte dei sacerdoti vedici che i loro sacrifici avrebbero prodotto risultati e la fiducia così generata avrebbe portato a rafforzare la loro convinzione. Poiché śraddhā implica aspettativa, crea un ponte di reciprocità tra umano e divino. Nel Rg Veda libro X sono raccolti inni diretti a divinità astratte, come funzioni specifiche del sacro: Prajapati, Vac, Manyu, Shraddha, ecc. Qui Shraddha è una divinità femminile il cui stato è di determinare il quadro della religione, in termini di impegno, verità e ragione.
“Agni è acceso con Shraddha, la fede nella verità, perseguìta con impegno nel pensiero, nella parola e nell'azione. Le oblazioni al fuoco sono offerte con fede totale, impegno per la verità e sincerità degli intenti. E noi, in cima alla più alta gloria della vita, la celebriamo ed esaltiamo con la sacra Parola dei Veda e la dichiariamo come impegno per la verità e la ragione ". (Rg Veda 10: 151 Shraddha Suktam)
Kānti significa "bellezza", in particolare bellezza femminile. Sperimentiamo la bellezza in innumerevoli modi - nella natura, nell'arte e nella musica, nei pensieri e nelle azioni umane - e in ogni esperienza la Devì sta rivelando se stessa e stimolando meraviglia. La bellezza è il ricordo della presenza della Divina Madre, il suo segno distintivo. La bellezza è un dono della grazia divina. Insieme alle altre qualità propizie chiamato in questo inno, come perdono, modestia, compassione e contentezza, la bellezza appartiene una classe di manifestazioni della Devi che significano un'espansione della coscienza e rivelano scorci della più grande realtà divina.
Lakṣmī ("buona fortuna") è il dono della Divina Madre di abbondanza e felicità. Il Durgāstotra (versetto 56) collega la buona fortuna alla modestia e all'intelligenza e suggerisce un ulteriore connessione tra loro e il dharma. Nel Devīmāhātmya, lo rakrādistuti collega anche lakṣmī e il dharma nel chiamare la Devi “buona fortuna nelle dimore dei virtuosi” (4.5).
Il termine vṛtti ("attività") consente più di un'interpretazione. Nel mondo fisico (Jagat, letteralmente "ciò che si muove"), percepiamo vitti come il moto costante e il cambiamento in tutte le cose. Anche qualcosa apparentemente inerte come una pietra pullula di attività, come gli elettroni orbitano attorno ai nuclei dei suoi atomi. Oltre al movimento fisico del piano materiale si trova l'attività più sottile del mentale etereo. E così, all'interno della coscienza umana, vṛtti è definita come un'onda di pensiero o una modifica della mente, un impulso di energia che fluisce attraverso i sensi e produce la conoscenza dell'esterno e l'esperienza.
Smṛti ("memoria"). L'universo della nostra esperienza è un universo relativo, in cui tutte le parti esistono in relazione a tutte le altre parti. Il processo attraverso il quale sperimentiamo la nostra esistenza nel mondo è relazionale, e quindi tutta la conoscenza empirica è relazionale. Senza la continuità della memoria, l'intelletto non potrebbe funzionare, perché non potrebbe mettere in relazione le esperienze. Sarebbe privo di tutto il contenuto tranne l'immediato oggetto di percezione, che sarebbe impotente a interpretare. Anche il processo di base di riconoscimento sarebbe impossibile, perché il riconoscimento, che segue direttamente la percezione, è esperienza associata alla memoria. Senza la continuità sottostante della memoria, nessuno dei processi intellettuali potrebbero funzionare; la buddhi non potrebbe classificare, mettere in relazione, confrontare, inferire o determinare. In breve, l'universo della nostra esperienza non sarebbe più possibile.
La parola smṛti ha un ulteriore significato. Le scritture indù appartengono a due classi: śruti (“ciò che è ascoltato”o rivelato misticamente) e smṛti (“ ciò che viene ricordato ”o di origine umana). Solo i Veda sono śruti; tutto il resto è considerato smṛti ed è autentico in quanto conforme ai Veda. Il i testi smṛti sono archivi di costumi sociali, osservanze morali e religiose, tradizioni culturali e discipline spirituali. Includono i codici della legge, i Sūtra, le epopee (Mahābhārata e Rāmāyaṇa), i Purāṇa e i Tantra.
Daya ("compassione") è uno degli otto epiteti nelle litanie che si occupano delle Manifestazioni di buon auspicio della Madre, le altre sono il perdono (5,38), la modestia (5,44), la pace (5.47), bellezza (5.53), fede (5.50), fortuna (5.56) e contentezza (5.68). Quattro di loro: perdono, modestia, contentezza e compassione - implicano una diminuzione dell'ego o dell' ignoranza. La compassione può essere definita come qualsiasi azione che diminuisce la sofferenza degli altri, e per la sua qualità risanatrice è una qualità di natura divina.
Tuṣṭi ("contentezza") condivide la qualità comune di consapevolezza estesa. Nel mondo materiale, intendiamo la contentezza come soddisfazione o realizzazione dei desideri, ma che descrive solo la sua forma grossolana o tamasica, e tale soddisfazione è fugace. La superiore contentezza segnala un senso di pienezza derivante dalla cessazione di ogni desiderio. Ci distanzia dal senso della mancanza che sorge inevitabilmente quando la coscienza è associata all'ego. Questa superiore contentezza è ricordo della Divina Madre a significare che il vero Il Sé non desidera niente.
Quando la Devi dimora in tutti gli esseri come madre (mātṛ), prende forma come la femmina della specie, che partorisce, nutre e ama e istruisce. È solo la madre che avvolge lo spirito nella materia e tutte le madri di tutte le creature replicano così il processo operato dalla Divina Madre universale, che dà alla luce l'universo di nomi e forme. Poiché i figli maschi sono anche essi sue creazioni, in definitiva anch'essi non sono diversi da lei. Abita in ognuno di noi e la sua presenza interiore è costante. Inoltre, quella connessione è così intima che all'interno di tutte le forme degli esseri, sia maschi che femmine, lo splendore divino della Madre rimane come il vero Sé.
Alla fine di questa litania estatica, il verso finale può essere sorprendente, perché ci viene detto che questa stessa Devī dimora in ogni cosa sotto forma di errore (bhrānti). La Divina Madre è, ricordiamo, Viṣṇumāyā (5.14), che oscura la sua coscienza auto-luminosa e infinita per proiettare il mondo. Poiché la coscienza che ci anima e ci illumina come individui è frammentata, limitata e imperfetta, non sperimentiamo direttamente la brillante pienezza della Devi; invece la vediamo manifestarsi attraverso il caleidoscopio dell'illusione (moha). Lo sperimentiamo a volte come buio, a volte abbagliante, proprio perché la Devi dimora sotto forma di "errore".