Molto spesso il tema archetipico che sottende sia al rituale iniziatico che le mitologie della morte, presuppone l’inghiottimento da parte di un mostro. Il simbolismo dell’inghiottimento e del penetrare nel ventre equivale ad una regressione psichica nell’indistinto primordiale, psichicamente è la discesa agli Inferi fra le tenebre ed i morti, la regressione sia nella notte cosmica sia nelle tenebre della follia in cui l’individuo si dissolve. Se teniamo conto dei suggerimenti di Eliade sulla corrispondenza tra morte, notte cosmica, caos, follia e regressione alla condizione primaria, si comprenderà facilmente perché la morte è sinonimo di saggezza; il futuro iniziato deve conoscere la follia e calarsi in quelle tenebre portatrici (anche per Jung) di una reviviscenza ed un contatto con la ricchezza dell’inconscio collettivo. La creatività, sappiamo, è sempre in relazione con certe follie, certe oscurità ed orge, inseparabili dal simbolismo della morte e delle tenebre. Gli storici delle religioni ci indicano che lo stesso schema iniziatico lo ritroviamo in tutti i misteri, poiché generazione, morte e rigenerazione sono stati compresi come tre momenti di uno stesso mistero.
Da ciò che gli storici delle religioni ci indicano, se ne deduce dunque che la morte nei contesti iniziatici non ha il significato che comunemente le si darebbe, ma significa: liberazione dal passato, fine di una esistenza e avvio a un’altra esistenza rigenerata e più evoluta. La morte iniziatica dunque non è mai fine ma condizione di passaggio ad un « altro modo » di essere e quindi di inizio. La conoscenza e l’iniziazione a cui introducono i misteri, la cui esperienza prevalentemente era inconscia ed emotiva, comporta la rivelazione della morte, della sessualità e del sacro. Nell’interpretazione psichica di queste profonde esperienze archetipiche l’iniziato non solo rinasce, ma è colui che partecipando e conoscendo i misteri non solo è portatore di una conoscenza nuova, ma è colui che supera la condizione profana dell’individuo che fino a quel momento ha ignorato il sacro. Nell’isolamento e nella separazione in cui si acquista la conoscenza è già implicita la morte, ed i luoghi stessi ove l’insegnamento verrà appreso, foreste o tenebre che siano, psichicamente ci rappresentano simbolicamente l’aldilà e gli inferi e quell’inghiottimento da parte del mostro nel cui ventre, scrive Eliade, regna la notte cosmica. Questo è quel momento intenso e numinoso in cui l’individuo è sul punto di dissolversi per la nascita di una nuova personalità.
Addentrandoci più profondamente nel significato dei misteri femminili, incontriamo il culto dei Misteri Eleusini; considerando le principali dee del culto di Eleusi, Demetra e sua figlia Kore, la «Vergine » Persefone, tralasceremo le altre divinità di Eleusi tranne Plutone re del mondo dell’aldilà che ha rapito Persefone e l’ha fatta sua compagna. Il mito ci narra che mentre Kore coglie i narcisi giocando con altre divine vergini, il dio dell’Ade emerge subitaneamente dalla profondità della terra e la rapisce sul suo carro portandola con se nell’Ade. Il mito racconta ancora che per intercessione degli dei alle preghiere di Demetra, Plutone sarà poi costretto a rilasciare Persefone per alcuni mesi dell’anno rimandandola sulla terra. Persefone, la dea greca chiamata Kore, esprime due diverse forme di esistenza, l’una ci appare come vita (la fanciulla nel rapporto con la madre), l’altra ci appare come morte (la fanciulla presso il maschile) e Madre e Figlia rappresentano una unità psichica; infatti le due dee vanno considerate come facenti parte di una unica figura archetipica psichicamente doppia; in questa unità Persefone simbolicamente rappresenta la fanciulla, la Kore della madre Demetra. Poiché Persefone è completamente passiva, ella infatti sta cogliendo i fiori quando sopraggiunge Ade a rapirla, Kerenyi ci suggerisce che Persefone essenzialmente significhi: « stare sul limite dell’Ade », ma insiste Kerenyi « qui tutto è allegoria, allegoria del destino della donna: il limite dell’Ade allegoria della linea divisoria fra la vita di fanciulla e l’altra vita… » quella del rapporto col maschile in cui il ratto ed il frutto del melograno la introducono. Per Kerenyi dunque, poiché Kore-Persefone viene venerata quale regina degli inferi, « il ratto della sposa è su questo piano allegoria della morte ». La descrizione più antica del ratto di Kore, ci proviene dall’inizio dell’inno omerico a Demetra: il poeta ci racconta del ratto subito dalla fanciulla, successivamente la sua opera è piena non solo del dolore e della ricerca della madre divina, ma anche del suo lutto, durante il quale Demetra non permette la crescita delle messi e con ciò, ella costringerà poi gli dei a restituirle la figlia. II ricongiungimento è comunque colmo di amarezza e poiché Persefone ha già assaporato, anche se di nascosto, il frutto del melograno, ella dovrà dunque passare con Ade un terzo di ogni anno. Fin dai tempi antichi questa storia venne associata con la vegetazione e particolarmente con i cereali, il grano macinato, a simboleggiare poeticamente la dea sotto la cui protezione ne avveniva la crescita, si chiamava infatti Kore.
Demetra arrivò ad Eleusi mentre era alla ricerca della figlia rapita, ad Eleusi ella ritrovo Kore e qui, nella sua riappacificazione dette agli uomini i misteri e l’agricoltura . Demetra fu venerata non solo come dea che aveva fatto dono della coltivazione del grano, ma come dispensatrice di altri doni più misteriosi. In realtà anche per Kerenyi la dea non insegna come bisogna trattare il frumento, ciò che essa insegna, dopo il ritrovamento di Kore, sono i misteri di Eleusi; ella insegnerà agli iniziati segreti che non dovranno tradire ed ella inoltre darà la possibilità di una sorte diversa nella oscurità della morte. Il frumento cui allude il poema omerico è solamente il dono evidente della dea il cui simbolo, una spiga, veniva mostrato nei misteri. Kerenyi ci precisa che tale dono serve a simbolizzare ciò che essa manifesterà solamente agli iniziati, per cui frumento e maternità non sono che « veli e vesti naturali ». L’inno omerico allude al fatto che tra i doni di Demetra fa parte anche una particolare specie di immortalità simile a quella del frumento, che proprio nella sua specificità dell’essere tagliato e ricrescere, appare come immortale. « La forma del frumento », scrive Kerenyi, « è la forma dell’origine e in pari tempo del risultato, della madre e in pari tempo della figlia ed è per questo che tale forma accenna di là del caso singolo a ciò che è universale ed eterno. E’ sempre il ‘frumento’ che scompare nella terra e ritorna che nella sua aurea abbondanza viene falciato e tuttavia rimane seme pieno e scuro, madre e figlia tutt’insieme ». La fertilità e la crescita dei cereali divengono dunque legate indissolubilmente alla morte, senza la quale non vi è procreazione; l’elemento centrale dei misteri di Eleusi, di cui il mito di Persefone rappresenta il momento fondamentale, ci propone il tema archetipico che la morte è l’inizio di ogni nuova vita, che l’uomo riceve proprio dalla Regina dei Morti la fertilità necessaria alla sua vita. Ciò avveniva ad Eleusi, poiché in quel luogo divenuto sacro, la madre divina ha pianto il ratto e la discesa di Kore nel regno dei morti, ma lì ad Eleusi, ella ritorna a sua madre che donerà agli uomini l’agricoltura. II punto culminante dei misteri, secondo i testimoni dell’epoca, non consisteva in un rituale per la fertilità agricola, il segreto del mistero non si risolve nella descrizione del rituale, l’esperienza di fronte alla quale l’iniziato si trovava era una situazione emotiva di grande intensità e di passaggio da una condizione di totale oscurità, alla luce più intensa in un processo di trasfigurazione.
La passività del fedele, condizione indispensabile dell’esperienza, si spiega in quella affermazione di Aristotele, quando egli espressamente dice che i fedeli non dovevano apprendere niente nel senso di una conoscenza razionale, ma dovevano venire coinvolti e mossi emotivamente, per cui la verità veniva rivelata solo tramite immagini e segni. Riguardo al mondo in cui questi eventi sono stati rappresentati si sono fatte innumerevoli speculazioni; il racconto più autorevole di quella notte rituale ci viene da Apollodoro di Atene. Al rito supremo, al suono del gong colpito dal gerofante gli dei si rivelano, Kore stessa viene evocata e riappare dal regno dei morti. La situazione emozionale evocata dal rituale, dal suono incessante dei tamburi, dalla stessa preparazione al rito col digiuno e dall’aver bevuto la pozione magica, metteva il partecipante in una situazione di partecipazione totale all’evento, per cui il mito veniva, colla sua rappresentazione, completamente rivissuto divenendo realtà. Ad Eleusi, l’iniziato partecipava di una sorta di intimità con le dee, venendo trasportato in una dimensione psichica transpersonale e divina. L’identificazione psichica e simbolica con Demetra, nel suo perdere la figlia, nel suo lutto per poi «ritrovare » e « rinascere », ci indica che il concetto che è alla base del mitologema di Eleusi rendeva tale luogo come spazio di rievocazione simbolica della rinascita e che i misteri che ad Eleusi si celebravano, per la presenza di Persefone, esprimevano il mistero della vita che sorge dalla morte. Il femminile, nel suo particolare rapporto con la morte, assumeva un valore centrale nel rito e nella realizzazione del mistero.
La via iniziatica che ad Eleusi si acquisiva era una via priva di parole, che si condensava in una conoscenza non esprimibile verbalmente e razionalmente, ad Eleusi l’iniziato, uomo o donna indifferentemente che fosse, partecipava piuttosto ad una visione; nel suo chiudere gli occhi e penetrare nell’oscurità del rito, veniva rivissuto l’abbandono di Persefone avvenendo ciò che Kerenyi ha chiamato « un atto interiore, anche se si tratta di un atto di dedizione », che in realtà assumeva il senso di un atto psichico numinoso e trasformativo. Kerenyi ci racconta che ad Eleusi si metteva in atto un processo che trovava il suo culmine massimo nei grandi misteri; egli ci riferisce che gli iniziati lungo il cammino verso Eleusi si adornavano di rami di mirto: il mirto è di Afrodite e nello stesso tempo dei morti. Possiamo pensare, a livello psicologico, che Demetra la dea madre si adira e si rattrista per quell’aspetto Kore di se stessa che viene rapito dal suo proprio essere, quella stessa Kore che poi riavrà e nella quale rigenererà se stessa. Il mitologema della madre-figlia come molti hanno sostenuto, rappresenta essenzialmente l’idea della Rinascita. Nell’aspetto più segreto del Mito, quale momento centrale del Mistero, riappare il tema archetipico delle nozze violente, o nozze di morte dove il rapitore è Ade, il dio della morte; acqua e oscurità nel mito rappresentavano sempre elementi significativi, nell’oscurità si celebravano le nozze violente di Demetra e nell’oscurità si abbandonava l’iniziato.
Sono molti i miti ed i racconti nei quali ritroviamo il tema della fanciulla sacrificata a un mostro, a un drago o a uno spirito maligno, unione che esprime un hieros gamos, dove il matrimonio è sempre un mistero ma anche un mistero di morte. Da questo punto di vista ogni matrimonio, come sostiene Neumann nel suo commento al mito di Amore e Psiche, è un essere esposti sulla sommità della montagna, in solitudine mortale, un aspettare il mostro, il maschile a cui la sposa si arrende. A questo proposito scrive Neumann: « il velare la sposa è sempre velare il mistero e le nozze come nozze di morte rappresentano un archetipo centrale dei misteri femminili »
Fonte: http://www.rivistapsicologianalitica.it/v2/PDF/27-1983-Connessioni/CAP8_morte_femminile.pdf