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Testi del Vedanta, dello Yoga e della tradizione Hindu.

Dal 2001 Visionaire.org è scritto, illustrato, pubblicato da Beatrice Polidori (Udai Nath)

Testi del Vedanta

Bhagavad Gita

Il Signore creò  il mondo, e volle proteggere la sua esistenza. In primo luogo fece i progenitori, guida delle genti (prajaa - Pati), a partire da Marichi, e  impartì loro la legge  (Dharma), caratterizzata dai precetti operativi  (pravRitti) descritti nei Veda. Poi creò Sanaka, Sanandana e altri, e impartì loro la legge della rinuncia all'azione (NIVRitti), dalla conoscenza e dal  distacco. Duplice è la Legge descritta nei Veda - una di azione e l'altra di rinuncia all'azione – con cui è retto il mondo. Questa duplice legge deve essere osservata da parte dei membri di tutte le classi, a cominciare dai Brahmana, per tutta la durata delle stagioni della vita, in quanto porta direttamente a ottenere la prosperità e la liberazione, il Sommo Bene.

Nel corso del tempo, a causa dell'egoismo di coloro che dovevano difendere legge, e la conseguente diminuzione della conoscenza discriminativa, l'ingiustizia divenne più potente e prevalse sulla legge. Volendo mantenere la stabilità del mondo, il Creatore primordiale, che tutto pervade, il Signore (Vishnu), chiamato Narayana, si incarnò e nacque da Devaki e da Vasudeva, come Krishna, al fine di ristabilire la legge divina dei Veda.  Solo se la Legge vedica è preservata, il suo spirito proteggerà la vita delle diverse classi di persone.

Ashtavakra Samhita

Tu non appartieni ai bramini, ai guerrieri né ad altra casta, tu non sei in alcuno stadio di vita, non sei nulla di ciò che i tuoi occhi possono vedere. Sei privo di attaccamento e di forma, il testimone di tutto - [dunque] sii beato, ora. Giusto e ingiusto, piacere e dolore appartengono soltanto alla mente e non ti riguardano. Tu non sei l'agente o il fruitore delle conseguenze [dell'agire]; tu sei sempre libero.

Tu sei l'unico testimone di tutto, completamente libero. La causa della sofferenza è nel ritenere il testimone qualcosa di diverso da questo. Finché sei stato ingannato dal nero serpente dell'opinione di te stesso, hai creduto stoltamente: "io sono colui che agisce"; ora dissetati col nettare dell'evidenza: "io non sono colui che agisce" e da subito sii felice. Brucia la foresta dell'illusione con il fuoco della conoscenza.

Mandukya Karika di Gaudapada

Mi inchino al Brahman che pervade l'universo con l'effusione della conoscenza, che pervade ciò che è mobile e ciò che è immobile, Colui che osserva tutto quello che può essere conosciuto nel mondo grossolano [durante lo stato di veglia], Quello per cui si sperimenta tutto ciò che nasce dal desiderio ed è illuminato dall'intelletto [durante lo stato di sogno], e che riposa nella Sua beatitudine e fa che tutti noi vediamo attraverso la Sua Maya, quello che, nei termini di Maya, è il Quarto [Turiya] e il supremo, immortale e non nato.

Turiya, il Sé dell'universo - che osserva i frutti della virtù e del vizio nel mondo grossolano, che conosce gli oggetti sottili creati dalla Sua intelligenza e illuminati dalla Sua luce e che riassorbe tutto questo gradualmente in Sé, e che abbandonata ogni differenziazione diviene privo di attributi – che possa Egli accordarci la Sua protezione.

श्रुति Śrūti

Brhadaranyaka Upanishad

Om! L'aurora è il capo del cavallo sacrificale; il sole è il suo occhio, il vento il suo respiro, il fuoco onnipresente la sua bocca, l'anno il suo corpo. Il cielo è il dorso del cavallo sacrificale; l'atmosfera è la sua pancia, la terra il suo inguine; i punti cardinali sono i suoi fianchi, i punti intermedi le sue coste, le stagioni le sue membra, i mesi e le quindicine le sue giunture, i giorni e le notti le sue gambe, le costellazioni le sue ossa, le nubi le sue carni. La sabbia è il cibo che egli digerisce; i fiumi i suoi intestini, i monti il suo fegato e i suoi polmoni, le erbe e le piante la sua criniera; il sole che si leva è il davanti del suo corpo, dietro il sole che tramonta. Il lampo è il suo ringhio, il tuono lo scuotimento del suo corpo, la pioggia la sua orina, la voce della parola il suo nitrito.
Il giorno, che posa sull'oceano orientale, fu la coppa posta dinanzi al cavallo. La notte, che si trova sull'oceano occidentale, fu la coppa posta dietro al cavallo. Egli fu il Destriero che portò gli Dei, lo Stallone che portò i Gandharva, il Corsiero che portò i Demoni, e infine portò gli Uomini, come fa il Cavallo. Egli è di casa nell'oceano, dove si trova la sua stalla.

Maha Mrityunjaya Mantra

Ishavasya Upanishad

Il volto della Verità è nascosto da una maschera d’oro; rimuovilo, oh Conoscitore, perché trionfi la verità, perché sia veduto. O Conoscitore, o Veggente, o Ordinatore, Sole Illuminante, o Padre delle creature, apri i tuoi raggi divini, trattieni il tuo ardore, affinché io possa conoscere il tuo volto benedetto. L'essere luminoso che abita in te, quello io sono.

Sri Adi Shankara

Shankaracharya

Vivekacudamani

“Il gran gioiello della discriminazione”  
Istruzione sul discernimento spirituale

1. Rendo onore al sadguru Govinda la cui natura è suprema beatitudine, il quale si rivela mediante l’insegnamento vedantico che è di là dal linguaggio e dalla percezione mentale.
2. Per tutte le creature viventi non è agevole avere una nascita umana, in particolare ottenere un temperamento maschile, più difficile è perseguire il sentiero della devozione vedica, più difficile ancora è acquisire la perfetta conoscenza delle Sacre scritture. Altresì è raro discriminare tra il Sé e il non-Sé e realizzare l’identità del Sé con Brahman. Questo tipo di liberazione perfetta è il risultato di meriti accumulato nel corso di innumerevoli nascite.

Soundarya Lahari, L'Onda della Bellezza

"L'Assoluto è senza forma, ma l'energia è femminile. Quando l'energia prende forma, è chiamata Madre. Madre è la potenza in movimento, che solleva in onde le acque calme dell'Assoluto." Swami Vivekananda

"Non c'è Shiva senza Shakti o Shakti senza Shiva. I due, per loro stessa natura, sono uno. Ciascuno di essi è coscienza e beatitudine." Arthur Avalon

"Shakti è l'energia primordiale latente,  indifferenziata e auto-cosciente, che tutto pervade, che si manifesta per creare l'universo dopo il diluvio o la grande dissoluzione (Mahapralaya). Questa Shakti non è diversa dalla coscienza (Cit), il loro rapporto è di inseparabile unità (Avinabhava Sambandha) come tra il fuoco e il calore, un soggetto e le sue caratteristiche, la parola e significato ecc. In altre parole, uno non esiste senza l'altra." 

Advaita Sadhana

Antologia degli insegnamenti di
Sri Chandrasekharendra Saraswati Swamigal.
Commento del Vivekacudamani di Shankara. [PDF]

Con grande compassione il nostro Acharya Shankara Bhagavatpada ha tracciato il Saadhanaa-kramaM (il metodo della Sadhana) per raggiungere lo scopo dell’Advaita. Tutto ciò che ha fatto è in accordo con la Sruti (i Veda). Il corpo dei Veda ha una testa, le Upanisad. Esse sono chiamate ‘shruti-shira’, che significa ‘la testa della Sruti’. L’alto edificio della Sadhana costruito per noi dall’Acharya è fondato sulle Upanisad.
Egli ha tracciato un programma chiamato ‘Saadhana-chatushhTayaM’ (la Sadhana in quattro fasi). Nel suo monumentale commento al Brahma Sutra fin dall’inizio dice: 'nitya-anitya-vastu-vivekaH' si deve discriminare tra ciò che è reale e cioè che non è reale e nomina la quattro fasi del cammino.
Come il Sutra-Bashya è il culmine dei commenti scritturali, il Viveva-Chudamani è la massima espressione delle opere dette prakarana. In questo testo è data una perfetta definizione delle quattro fasi del Saadhana-chatushhTayaM.

La filosofia di Shankara

La filosofia di Shankara

Questo articolo esamina l'Advaita Vedanta classico di Shankaracharya e alcune questioni basilari di epistemologia e soteriologia. La presentazione rimarrà fedele a ciò che Shankara ha effettivamente detto ed eviterà interpretazioni speculative del suo pensiero, come ad esempio le forme dell'Advaita Vedanta che possono significativamente essere adattate in modo da soddisfare le esigenze degli occidentali moderni. Per la maggior parte ci si riferisce ai commenti di Shankara sul Brahma Sutra e Brhadaranyaka Upanishad, forse i suoi lavori più importanti, con alcuni riferimenti anche ai suoi altri scritti. 

Ascolto, riflessione e meditazione nella pratica dell'Advaita Vedanta

L'analisi mentale dell'Upadesha (insegnamento) attraverso la riflessione costante è l'esercizio detto Manana. Successivamente, quando non esiste più necessità e scopo per ulteriore analisi e discussione, si procede con NidhidhyAsana, che è lo stato in cui la mente è concentrata esclusivamente nell'identificazione con l'atman- tattva, su cui si è giunti a una perfetta chiarezza, e la mente non è scossa da alcun movimento.

La Mente e la funzione dei Mahavakya.

La mente, che è chiamata 'organo interno' (antaHkaraNam), è indicata con quattro nomi in base alle rispettive funzioni: manas, buddhi, chittam e ahamkAra. La funzione del pensiero è conosciuta come manas, che designa l'attività della mente ordinaria, come comportamento, esperienza di piacere, repulsione, reazione e relazione. Quando viene presa una decisione, appellandosi al senso etico, alla verità, al discernimento, è detta buddhi o intelletto. La funzione di memorizzare le esperienze e le informazioni, e di compiere operazioni formali, è chiamata chittam. Il senso dell'io è ahamkAra. 

La Via iniziatica alla Non Dualità

Advaita Satsang

Meditazione con Udai Nath

Satsang e percorsi individuali

 

Inoltre, quando l'anima è separata da questo mondo, poiché continua ad avere la propria immaginazione attiva al suo servizio, può percepire da sé, per mezzo della sua essenza e di tale facoltà, le cose concrete la cui parvenza, così come realizzata nella sua coscienza e immaginazione, costituisce eo ipso la vera forma dell’esistenza concreta di tali cose (in altre parole, la coscienza e i suoi oggetti sono ontologicamente inseparabili). Tutti questi poteri sono riuniti e concentrati in una singola facoltà, l’Immaginazione attiva. Siccome non è più distratta dai cinque sensi corporei, e non è più sollecitata dalle preoccupazioni del corpo fisico, che è preda delle vicissitudini del mondo esteriore, la percezione immaginativa può finalmente dimostrare la sua essenziale superiorità sulle percezioni sensoriali.

“Tutte le facoltà dell’anima” scrive sadra Shirazi, “sono diventate una singola facoltà, il potere di configurare e rappresentare (taswir e tamthil); la sua immaginazione è diventata come una percezione sensoriale del soprasensibile; la sua visione immaginativa è anch’essa come la vista sensoriale. Similmente, i sensi dell’udito, dell’olfatto e del tatto e del gusto – tutti nella forma di sensi immaginativi – funzionano come facoltà sensoriali, ma regolate al soprasensibile.

Se esteriormente le facoltà sensoriali sono cinque, ciascuna con un proprio organo corrispondente nel corpo, internamente, invece, costituiscono tutte insieme una sola sinestesia (hiss moshtarik). “L’Immaginazione è perciò il currus subtilis (in Greco okhema, veicolo, o [in Proclo, Giamblico, etc.] corpo spirituale) dell’anima, per cui abbiamo una intera fisiologia del “corpo sottile” e quindi del “corpo della resurrezione”, che Sadra Shirazi discute in questo contesto.  Per questa ragione rimprovera anche Avicenna per avere identificato gli atti della percezione immaginativa postuma con quanto accade in questa vita durante il sonno, poiché qui, e anche durante il sonno, il potere immaginativo è disturbato dalle operazioni organiche che riguardano il corpo. Occorre molto di più per raggiungere la massima perfezione di attività, libertà e purezza. Altrimenti, il semplice sonno sarebbe un risveglio nell’altro mondo. Non è a questo che allude il detto attribuito da alcuni al Profeta o talvolta al Primo Imam degli Sciiti: “Gli uomini dormono. Solo quando muoiono si risvegliano”.

Un secondo postulato è che l’Immaginazione è una facoltà cognitiva, evidenza che si deve riconoscere. La percezione immaginativa e la coscienza immaginativa possiedono una propria funzione noetica (cognitiva) e un proprio valore in relazione al mondo che gli è proprio – un mondo, abbiamo detto, che è l’ 'alam al-mithal, mundus imaginalis, il mondo delle città mistiche quali Hurqalya, in cui il tempo è reversibile e lo spazio è una funzione del desiderio, perché è solo l’aspetto esterno dello stato interiore.

L’Immaginazione è dunque saldamente in equilibrio tra due altre funzioni cognitive: il suo mondo simbolizza quello cui le due altre facoltà (conoscenza sensoriale e intellettiva) rispettivamente registrano. Vi è di conseguenza una forma di controllo che impedisce all’Immaginazione di vagare e disperdersi, e che le permette di assumere le sue piene funzioni: ad esempio, produrre l’accadimento degli eventi narrati nei racconti visionari di Sohravardi e altri analoghi, perché ogni approccio all’ottavo clima si compie mediante il cammino immaginativo. Si può dire che questa è la ragione della straordinaria solennità dei poemi mistico-epici scritti in Persiano (da 'Attar a jami e a Nur 'Ali1-Shah), che costantemente amplificano i medesimi archetipi in nuove forme simboliche. Al fine di riportare l’Immaginazione a vagare e disperdersi, e quindi ad abbandonare le sue funzioni, che sono quelle di percepire o generare i simboli diretti al senso interno, è necessario che il mundus imaginalis, il dominio di Malakut, il mondo dell’Anima -  scompaia.  Probabilmente si deve datare l’inizio di questa decadenza, in Occidente,  al tempo in cui l’Averroismo rigettò la cosmologia Avvicenniana, con le sue gerarchie angeliche intermedie dell’ Animae o Angeli caelestes.  Gli Angeli caelestes (una gerarchia inferiore a quella degli Angeli intellectuales) avevano il privilegio del potere immaginativo allo stato puro. Quando l’universo dell’Anima scomparve, fu la funzione immaginativa a essere sbilanciata e svalutata. E’ facile comprendere, quindi, il consiglio dato successivamente da Paracelso di guardarsi da ogni confusione tra l’ Imaginatio vera, come la chiamavano gli alchimisti, e la fantasia “pietra angolare del folle”.

Per questa ragione non possiamo evitare ancora il problema della terminologia. Come mai non abbiamo in lingua francese (o inglese) un termine comune e soddisfacente per esprimere l’idea dell’'alam al-mithal? Ho proposto il latino mundus imaginalis per questa ragione, perchè dobbiamo evitare ogni confusione tra ciò che qui è l’oggetto della percezione immaginativa o immaginante, e ciò che di solito si chiama immaginario. E’ così perché l’attitudine corrente è di contrapporre il reale all’immaginario, come irreale, utopico e di confondere il simbolo con l’allegoria, confondere l’esegesi del senso spirituale con un’interpretazione allegorica. Ora, ogni interpretazione allegorica è innocua; l’allegoria è una copertura, o piuttosto un mascherare qualcosa che è già noto o conoscibile in altro modo, mentre l’apparizione di un’Immagine che abbia la qualità di simbolo è un fenomeno primario (Urphanomen), incondizionato e irriducibile, l’apparizione di qualcosa che non può manifestarsi altrimenti nel mondo.

Né i racconti di Sohravardi, né i racconti della tradizione Sciita, che narrano il raggiungimento della “Terra dell’Imam Nascosto” sono immaginari, irreali o allegorici, precisamente perché l’ottavo clima o la “Terra di Nessun-dove” non è ciò che comunemente chiamiamo utopia. Si tratta certamente di una mondo che rimane al di là della verifica empirica delle nostre scienze. Eppure, chiunque può trovarne l’accesso e l’indicazione. E’ un mondo soprasensibile, in quanto non percepibile tranne dalla percezione immaginativa, e poiché gli eventi che vi accadono possono essere sperimentati solo dalla coscienza immaginativa o immaginante. Dobbiamo essere sicuri di aver compreso, ancora una volta, che non si tratta di ciò che il linguaggio del nostro tempo chiama un’immaginazione, una di una visione che è Imaginatio vera. A questa Imaginatio vera dobbiamo attribuire pieno valore noetico o cognitivo. Se non siamo più capaci di parlare dell’immaginario, eccetto che come “fantasia”, se non possiamo utilizzarlo o tollerarlo che così, abbiamo probabilmente dimenticato le regole e le norme e l’”ordine assiale” che sono responsabili della funzione cognitiva o immaginativa.

Il mondo in cui i nostri testimoni sono penetrati – e incontreremo due o tre di questi testimoni nella sezione finale di questo studio – è un mondo perfettamente reale, persino più evidente e coerente, nella sua realtà, del mondo reale empirico percepito dai sensi. I testimoni erano perfettamente coscienti di essere stati “altrove”; non erano schizofrenici. Si tratta di un mondo nascosto dall’azione dei sensi, che dobbiamo trovare sotto l’apparente certezza oggettiva delle percezioni. Ecco perché non possiamo positivamente definirlo immaginario, nel senso corrente di irreale, inesistente. Così come la parola latina origo ci ha dato la derivata “originale”, io credo che la parola imago ci possa offrire, oltre ad immaginario, per regolare derivazione, il termine immaginale. Avremo quindi il mondo immaginale a fungere da intermediario tra il mondo sensoriale e il mondo intelligibile. Quando incontriamo il termine arabo jism mithali a designare il “corpo sottile” che penetra l’”ottavo clima” o il “corpo di resurrezione” possiamo di tradurlo in corpo immaginale, non certo come corpo immaginario. Forse incontreremo, così,  minori difficoltà a collocare le figure che non appartengono al “mito” e nemmeno alla “storia”, e forse avremo con noi una sorta di lasciapassare sulla via del “continente perduto”.

Al fine di incoraggiarci in questo cammino, dobbiamo domandare a noi stessi: cosa costituisce il nostro reale, cosa è reale per noi, e se lo lasciassimo, troveremmo qualcosa in più del semplice immaginario, dell’utopia? E che cos’è il reale per i nostri filosofi tradizionali d’Oriente, che potevano accedere all’ “ottavo clima”, il Na-koja-Abad, lasciando lo spazio sensorio senza lasciare la realtà, o meglio, arrivando esattamente alla realtà? Tutto questo presuppone una gradazione dell’essere con molti più livelli della nostra. Dunque non cadiamo in errore. Non basta ammettere che i nostri predecessori, in Occidente, avevano un concetto dell’Immaginazione troppo razionalistico e troppo intellettualizzato.  Se non possediamo una cosmologia il cui schema includa, come quello dei nostri filosofi tradizionali, la pluralità degli universi in ordine ascensionale, la nostra Immaginazione rimarrà sbilanciata, e il suo ricorrente ritorno alla volontà di potere sarà una infinita causa di orrori. Dovremo cercare costantemente una nuova disciplina per l’Immaginazione, e avremo grandi difficoltà a trovarla finché vedremo in essa un modo di prendere le distanze da ciò che chiamiamo reale, o di esercitare una influenza sulla realtà. Ora, il reale ci appare arbitrariamente limitato, se lo paragoniamo alla realtà che i teosofi tradizionali hanno visto, e questa limitazione degrada la realtà di per sé. Inoltre, la parola fantasia compare sovente come scusa: fantasia letteraria, ad esempio, o se preferiamo, nello stile e nel gusto di oggi, fantasia sociale.

Ma è impossibile evitare di domandarsi se il mundus imaginalis, nel vero significato del termine, sia necessariamente perduto e lasci spazio unicamente all’immaginario, se non sia stato qualcosa come la secolarizzazione dell’Immaginale nell’immaginario a far trionfare il fantastico, l’orribile, il mostruoso, il macabro, il miserabile e l’assurdo. Dall’altra parte, l’arte e l’immaginazione della cultura islamica nelle forme tradizionali sono caratterizzate dallo ieratico e dal profondo, da solennità, stilizzazione e significato. Non le nostre utopie, non la nostra fantascienza, non il sinistro "omega point"- niente di questo genere accade lasciando questo mondo o giungendo in Na-koja-Abad. Coloro che conobbero l’”ottavo clima” non hanno inventato utopie, né il pensiero ultimo dello Sciismo è una fantasia politica o sociale, ma un’escatologia, poiché si tratta della speranza della reale Presenza, qui e ora, in un altro mondo, e la testimonianza di quell’altro mondo.

III. TOPOGRAFIE DELL’ “OTTAVO CLIMA”

Dobbiamo esaminare ora la teoria generale dei testimoni dell’altro mondo. Dobbiamo domandare a quei mistici che, nell’Islam, ripeterono l’esperienza visionaria dell’assunzione al cielo del Profeta Maometto (mi'raj), che presenta diverse analogie con quella, narrata in un antico libro gnostico, delle visioni celesti del profeta Isaia. Qui, l’attività della percezione immaginativa assume l’aspetto di ierognosi, alta conoscenza sacra. Per completare la nostra discussione, mi limiterò a descrivere alcuni tipici aspetti raccolti dalla letteratura Sciita, perchè il mondo in cui essa ci premetterà di entrare sembra , a prima vista, ancora il nostro mondo, mentre in realtà gli eventi si verificano nell’ottavo clima. Non nell’immaginario, ma nel mondo immaginale, il mondo le cui coordinate non possono essere ricavante dalle nostre mappe, dove il Dodicesimo Imam, l’ “Imam Nascosto” vive una vita segreta, circondato dai suoi compagni, anch’essi velati dallo stesso mistero dell’Imam. Un tipico racconto di questo genere è la storia del viaggio all’ “Isola Verde situata nel Mare Bianco”.

E’ impossibile descrivere qui, persino a grandi linee, cosa costituisca l’essenza dell’Islam Sciita in relazione a quello che si definisce giustamente ortodossia Sunnita. E’ necessario che si conosca, anche in termini vaghi, il tema predominante dell’orizzonte dei teosofi mistici Sciiti, e precisamente “l’Eterna Realtà Profetica” (Haqiqat mohammadiya), designata come “Logos Musulmano” o “Luce Musulmana” e composta da quattordici entità di luce: il Profeta, sua figlia Fatima, e i dodici Imam. Questo è il pleroma dei “Quattordici Perfetti” per mezzo dei quali si compie la continuazione del mistero della teofania eterna, da mondo a mondo. Lo Sciismo ha dato dunque alla profetologia islamica la sua fondazione metafisica e ha dato, contemporaneamente, l’imamologia come complemento assolutamente necessario. Questo significa che il senso della Rivelazione Divina non è limitato alla lettera, all’essoterico che fa da contesto e contenitore, e che fu enunciata dal Profeta; il senso vero è quello nascosto all’interno, l’esoterico, simbolizzato dalla superficie e che spetta agli Imam rivelare ai loro seguaci. Ecco perché la teosofia Sciita possiede eminentemente il senso dei simboli.

Inoltre, il gruppo ristretto o la dinastia dei dodici Imam non è una dinastia politica in competizione terrena con altre dinastie politiche; si proietta su di loro, in un certo senso, come la dinastia dei guardiani del Graal, nella tradizione Occidentale, si proietta sulla gerarchia ufficiale della Chiesa. L’effimera apparenza terrena dei dodici Imam si è conclusa col dodicesimo che,  giovanissimo, si occultò da questo mondo, ma la cui parousia fu annunciata dallo stesso Profeta, la Manifestazione alla fine del nostro Eone, quando avrebbe rivelato il significato nascosto della rivelazione Divina e riempito la terra di pace e giustizia, così come fino a quel momento era stata colma di violenza e tirannia. Presente simultaneamente nel passato e nel presente, il Dodicesimo Imam, l’Imam Nascosto, è stato per dieci secoli la storia della coscienza sciita, una storia su cui, ovviamente, la critica storica non può ragionare, poiché gli eventi, sebbene reali, non di meno non possiedono la realtà degli eventi del nostro clima, ma quella che appartiene all’”ottavo clima”, agli eventi dell’anima, alle visioni. Il suo occultamento avvenne in due periodi differenti: l’occultamento minore (260/873) e l’occultamento maggiore (330/942). Fino a questo punto, l’Imam Nascosto si trova nella stessa posizione di quelli che furono rimossi dal mondo visibile, senza attraversare la morte: Enoch, Elia e Cristo, secondo l’insegnamento del Corano. Egli è l’Imam “nascosto ai sensi, ma presente nel cuore dei suoi seguaci” nella parole della formula consacrata, egli rimane il polo mistico (qotb) di questo mondo, il polo dei poli, senza la cui esistenza questo mondo non continuerebbe ad esistere. Vi è un’intera letteratura sciita su coloro ai quali l’Imam ha manifestato se stesso, o coloro che l’hanno incontrato senza vederlo, durante il periodo del Grande Occultamento.

Naturalmente, la comprensione di queste tesi presuppone alcune premesse che le analisi che abbiamo svolto in precedenza ci permettono di accettare. Il primo punto è che l’Imam vive in un luogo misterioso che non si trova tra quelli verificabili con la geografia empirica; non si situa nelle nostre mappe. Questo luogo è “fuori dallo spazio” ma, non di meno, ha una propria topografia. Il secondo punto è che la vita non è limitata alle condizioni del mondo materiale visibile e alle leggi biologiche che conosciamo. In questo senso si situano eventi della vita dell’Imam Nascosto, come la descrizione dei suoi cinque figli, governatori di misteriose città. Il terzo punto è nell’ultima lettera ai suoi ultimi rappresentanti visibili, con cui l’Imam ammonisce contro l’impostura di coloro che affermano di citare le sue parole, di averlo visto,  al fine di pretendere un ruolo pubblico o politico nel suo nome. Ma l’Imam mai escluse di potersi manifestare in aiuto di qualcuno in difficoltà materiali o morali  - un viaggiatore smarrito, ad esempio, o un credente preso dallo sconforto.

Tali manifestazioni, però, accadono solo per iniziativa dell’Imam; e se il più delle volte egli appare nei panni di un giovane uomo dalla bellezza soprannaturale, quasi sempre, tranne eccezioni, colui che ha ottenuto il privilegio di vederlo sarà cosciente solo in seguito, tempo dopo, di chi sia colui che ha incontrato. Queste manifestazioni avvengono strettamente in incognito; per questo motivo tale evento religioso non può mai essere socializzato. Lo stesso incognito ricopre i compagni dell’Imam, quella elite dell’elite composta da giovani al suo servizio. Essi formano una gerarchia esoterica di numero strettamente limitato, che rimane permanente grazie alla sua sostituzione generazione dopo generazione. L’ordine mistico di cavalieri che circonda l’Imam Nascosto è soggetto alla stessa segretezza assoluta dei cavalieri del Graal, per cui a nessuno è concesso di raggiungerli. Ma qualcuno vi è stato convocato ed è penetrato per un momento nell’ottavo clima; per un attimo questi è stato “nella totalità dei Cieli della sua anima”.

Questa fu l’esperienza del giovane Shaykh iraniano 'Ali ibn Fazel Mazandarani, verso la fine del tredicesimo secolo, esperienza ricordata nel “Racconto delle cose strane e meravigliose che contemplò e vide con i suoi occhi sull’Isola Verde situata nel Mare Bianco”. Qui descriverò soltanto un breve riassunto del racconto, senza entrare nei dettagli. Il narratore si intrattiene a lungo sugli anni e le circostanze della sua vita, precedenti l’evento; ci troviamo di fronte a una personalità intellettuale e spirituale che ha entrambi i piedi ben piantati a terra. Ci racconta come emigrò, di come a Damasco seguì gli insegnamenti di uno shaykh andaluso, e di come era affezionato al suo shaykh; e che quando questi andò in Egitto, il protagonista e altri discepoli decisero di accompagnarlo. Dal Cairo lo seguirono in Andalusia, dove lo shaykh era stato richiamato da una lettera del padre morente. Il nostro narratore era appena arrivato in Andalusia quando lo colse una febbre che durò tre giorni. Una volta ristabilito, arrivò in un villaggio dove vide uno strano gruppo di uomini provenienti da una regione vicina alla terra dei Berberi, non lontana dalla “penisola degli Sciiti”. Gli dissero che il viaggio richiedeva venticinque giorni e l’attraversamento di un vasto deserto. Decise di unirsi al gruppo. Fino a questo punto, siamo più o meno entro le carte geografiche.

Ma non siamo più certi di essere ancora tra queste quando il nostro viaggiatore raggiunge la penisola degli Sciiti, una penisola circondata da quattro mura con alte torri imponenti; il limite esterno della cinta toccava il mare. Chiese di essere condotto alla moschea principale. Lì, per la prima volta, ascoltò, durante la chiamata alla preghiera del muezzin, risuonare dal minareto della moschea l’invocazione Sciita che chiede “Giunga la gioia!”, la gioia, cioè, per la futura apparizione dell’Imam, che ora è nascosto. Per comprendere la sua emozione e le sue lacrime, è necessario pensare alla feroce persecuzione che, nel corso di vari secoli e in vaste aree del territorio dell’Islam, costrinse gli Sciiti, i seguaci dell’Imam, allo stato di segretezza. Il riconoscimento tra Sciiti avviene in base all’osservanza, tipica, dei costumi della “disciplina dell’arcano”.

Il nostro pellegrino si è stabilito con i suoi compagni, quando nota durante le sue passeggiate che non ci sono campi coltivati nella zona. Come si approvvigionano di cibo gli abitanti? Apprende che il cibo arriva loro dalla “Isola Verde situata nel Mare Bianco”, che è una delle isole che appartengono ai figli dell’Imam Nascosto. Due volte l’anno, una flotta di sette navi porta il cibo. Per l’anno in corso il primo viaggio si è già concluso; e si dovranno aspettare dei mesi perché giunga il prossimo. Il racconto descrive il pellegrino trascorrere i suoi giorni circondato dalla gentilezza degli abitanti, ma tormentato dall’attesa dell’arrivo delle navi, camminare instancabile sulla spiaggia guardando il mare, verso ovest. Potremmo essere tentati a credere di trovarci sulla costa atlantica dell’Africa, e che l’Isola Verde appartenga, forse, alle Canarie o alle “Isole Fortunate”. I dettagli che seguono saranno sufficienti a disilluderci. Altre tradizioni situano l’Isola Verde altrove – nel Mar Caspio, ad esempio – proprio per indicare che non esistono coordinate geografiche adatte in questo mondo.

Infine, siccome per la legge dell’”ottavo clima” l’ardente desiderio accorcia le distanze, le sette navi arrivano in anticipo e fanno il loro ingresso nel porto. Dalla nave più grande discende uno shaykh dall’aspetto nobile e autorevole, bel viso e abiti magnifici. Iniziano a conversare e il nostro pellegrino realizza sbigottito che lo shaykh conosce già tutto di lui, il suo nome e le sue origini. Lo shaykh è il suo Compagno e gli rivela di essere venuto a cercarlo: insieme partiranno per l’Isola Verde. Questo episodio riporta il carattere peculiare del sentimento gnostico di sempre: l’esilio, la separazione dalla propria gente, di cui a malapena si ricorda, e la vaga idea che in qualche modo si debba ritornare presso di loro. Un giorno, però, arriva un messaggero mandato da questi, come nel “Canto della Perla”, negli Atti di Tommaso, o nel “Racconto dell’Esilio Occidentale” di Sohravardi. In questo caso, è qualcosa di meglio di un messaggero: è uno dei compagni dell’Imam in persona. Il nostro narratore esclama commosso: “come ho udito queste parole, sono stato sopraffatto dalla felicità. Qualcuno si ricorda di me, il mio nome gli è noto!” Il suo esilio è terminato? Da qui in avanti, egli è sicuro che l’itinerario non potrà essere riportato sulle nostre mappe.

La traversata dura sedici giorni, al termine dei quali la nave entra in una porzione di mare completamente bianca; l’Isola Verde si profila all’orizzonte. Il nostro pellegrino apprende dal suo Compagno che il Mare Bianco forma un’impenetrabile zona di protezione attorno all’isola; nessuna nave manovrata dai nemici dell’Imam può avventurarsi là senza che le onde la sommergano. I nostro viaggiatori attraccano all’Isola Verde. Vi è una città sulle sponde del mare; sette muri turriti proteggono i precinti (questo è il piano simbolico dominante). La vegetazione è lussureggiante e i torrenti abbondanti. Gli edifici sono costruiti con marmo diafano. Tutti gli abitanti hanno volti giovani e bellissimi e indossano magnifici abiti. Il nostro shaykh iraniano ha il cuore colmo di gioia e da questo punto, per tutta la seconda parte, il suo racconto prenderà il ritmo e il significato di un racconto iniziatico, in cui possiamo distinguere tre fasi. Una serie iniziale di conversazioni con un nobile personaggio, che altri non è che il nipote del dodicesimo Imam (figlio di uno dei suoi cinque figli) e che governa l’Isola Verde: Sayyed Shamsoddin. Queste conversazioni compongono una prima iniziazione al segreto dell’Imam Nascosto; a volte si svolgono nell’ombra di una moschea, a volte nelle serenità di giardini colmi di ogni specie di alberi odorosi. Poi avviene la visita a un misterioso santuario situato nel cuore della montagna più alta dell’isola. In fine, una serie conclusiva di conversazioni decisive sulla possibilità di accedere alla visione diretta dell’Imam.

Sto riassumendo nel modo più breve e devo tacere i dettagli del paesaggio e dell’animata drammaturgia, così da arrivare all’episodio centrale. Sulla cima o nel cuore della montagna, che si trova al centro dell’Isola Verde, si trova un piccolo tempio, con la cupola, dove è possibile comunicare con l’Imam, poiché accade che egli vi lasci un messaggio personale, ma a nessuno è permesso salire al tempio, tranne a Sayyed Shamsoddin e a quelli come lui. Questo piccolo tempio si trova all’ombra di un albero Tuba; sappiamo che questo è il nome dell’albero che ombreggia il Paradiso; è l’Albero dell’Essere. Il tempio è posto sulla sponda di una sorgente che, sgorgando alla base dell’Albero del Paradiso, può essere soltanto la Sorgente della Vita. Per confermarcelo, il nostro pellegrino incontra il custode del tempio, nel quale riconosce il misterioso profeta Khezr (Khadir). Là, nel cuore dell’essere, all’ombra dell’Albero e sulla rive della Sorgente, vi si trova il santuario in cui è possibile avvicinare l’Imam Nascosto. Abbiamo qui una intera costellazione di simboli archetipi facilmente riconoscibili.

Abbiamo imparato, tra le altre cose, che l’accesso al piccolo tempio mistico era permesso soltanto a colui che, avendo raggiunto il livello spirituale in cui l’Imam è divenuto la sua Guida interiore, abbia ottenuto uno stato “simile” a quello dei discendenti diretti dell’Imam. Ecco perché l’idea dell’adeguamento interiore è effettivamente al centro del discorso iniziatico, ed è ciò che permette al pellegrino di apprendere i restanti segreti dell’Isola Verde: ad esempio, il simbolismo di un rito particolarmente eloquente. Nel calendario liturgico Sciita, il venerdì è il giorno dedicato specialmente al Dodicesimo Imam. Inoltre, nel calendario lunare, la metà del mese segna il punto mediano del ciclo lunare, e la metà del mese di Sha’ban è l’anniversario della nascita del Dodicesimo Imam in questo mondo. Un venerdì, quindi, quando il nostro pellegrino iraniano sta pregando nella moschea, sente un grande trambusto provenire dall’esterno. Il suo iniziatore, Sayyed, lo informa che ogni volta che la metà del mese cadde di venerdì, i capi di una misteriosa milizia che circonda l’Imam si riuniscono nell’ “Attesa della Gioia”, un termine sacro dedicato, per quanto ne sappiamo, a indicare l’attesa della Manifestazione dell’Imam in questo mondo. Lasciando la moschea, incontra un raduno di cavalieri dai quali proviene un clamore trionfale. Sono i 313 capi dell’ordine soprannaturale dei cavalieri, sempre presenti in incognito nel nostro mondo, al servizio dell’Imam. Questo episodio ci conduce gradualmente alla scena finale che precede l’addio. Come un ritornello, ritorna incessantemente il desiderio di vedere l’Imam. Il nostro pellegrino comprenderà allora di essere stato due volte in presenza dell’Imam nel corso della propria vita: era perso nel deserto e l’Imam venne in suo soccorso. Ma come è regola, non ne ebbe coscienza, allora; lo può comprendere adesso che è stato sull’Isola Verde. Purtroppo, deve lasciare quest’isola; l’ordine non può essere disatteso; la flotta lo attende, la stessa con cui è arrivato. Ma ancor più che il viaggio esteriore, è impossibile per noi delineare l’itinerario che riconduce dall’”ottavo clima” a questo mondo. Il nostro viaggiatore cancella le sue tracce, ma riporterà alcune prove materiali del suo soggiorno: le pagine di appunti presi nel corso delle conversazioni con il nipote dell’Imam, e il regalo di commiato che questi gli diede al momento dell’addio.

La testimonianza dell’Isola Verde ci permette di ricavare un’abbondante raccolta di simboli. Si tratta di una delle isole che appartengono al figlio del Dodicesimo Imam. Quell’isola, dove sgorga la Sorgente della Vita, all’ombra dell’Albero del Paradiso, assicura il sostentamento dei seguaci dell’Imam che vivono lontani, sostentamento che è cibo “soprasostanziale”. Si trova ad occidente, come la città di Jabarsa si trova ad occidente del Mundus Imaginalis, ed offre perciò una curiosa analogia con il paradiso Buddista di Amitabha ; così come la figura del Dodicesimo Imam suggerisce l’immagine di Maitreya, il futuro Buddha; vi troviamo anche un’analogia con Tir-na'n-Og, uno dei mondi dell’aldilà dei Celti, la terra d’Occidente e dell’eterna giovinezza. Come il regno del Graal, si tratta di un intramondo autosufficiente. E’ protetto e immune da qualsiasi attacco esterno. Solo coloro che sono chiamati espressamente trovano la via per raggiungerlo. Una montagna sorge nel centro, e abbiamo osservato quale simbolo rappresenta. Come il Mont Salvat, l’inviolabile Isola Verde è il luogo dove i ricercatori incontrano il polo mistico del mondo, l’Imam Nascosto, che regna invisibilmente su questa era – il cuore della fede Sciita.

Questo racconto è completato da altri, poiché, come abbiamo detto, non sappiamo nulla finora delle isole che sono governate dalle straordinarie figure dei cinque figli dell’Imam Nascosto (omologhi a quelli che lo Sciismo designa come “i Cinque del Mantello” e probabilmente anche a coloro che il Manicheismo chiama “i Cinque Figli dello Spirito Vivente”). Una storia più antica (è della metà del dodicesimo secolo e il narratore è un cristiano) ci fornisce informazioni topografiche complementari. Ancora sono coinvolti dei viaggiatori che improvvisamente scoprono che le proprie navi sono entrate in una zona completamente sconosciuta. Attraccano sulla prima isola, al Mobaraka, la Città Benedetta. Alcune difficoltà, dovute alla presenza tra di essi di un musulmano Sunnita, li obbligano a viaggiare ancora. Ma il loro capitano si rifiuta; ha paura di navigare in quella regione sconosciuta. Devono procurarsi un nuovo equipaggio. In ordine di successione, apprendiamo i nomi delle cinque isole e i nomi dei rispettivi governatori: al-Zahera, la Città dei Fiori in Boccio; al Ra'yeqa, la Città Limpida; al-Safiya, la Città Serena, ecc. Chi riesca esservi ammesso entra nella gioia perenne. Cinque isole, cinque città, cinque figli dell’Imam, dodici mesi di viaggio attraverso le isole (due mesi per ciascuna delle prime quattro, quattro mesi per la quinta), questi numeri possiedono un significato simbolico. Anche qui, la storia si risolve in un racconto iniziatico; tutti i viaggiatori infine abbracciano la fede Sciita.

Poiché non esistono regole senza eccezioni, concluderò citando brevemente una storia che illustra un caso di manifestazione dell’Imam in persona. Il racconto risale al decimo secolo. Un iraniano di Hamadan fece il pellegrinaggio alla Mecca. Sulla via del ritorno, che si percorreva di giorno dalla Mecca (più di duemila chilometri fa Hamadan), aveva imprudentemente preso a girovagare durante la notte e aveva perciò smarrito i suoi compagni di viaggio. Al mattino stava vagando da solo nel deserto e confidava in Dio. Improvvisamente vide un giardino di cui né lui né nessun altro aveva mai sentito parlare. Vi entrò. Alla porta del padiglione, due giovani paggi vestiti di bianco lo aspettavano e lo condussero presso un giovane uomo di soprannaturale bellezza. Dal proprio stupore timoroso e soggiogato, comprese di trovarsi alla presenza del Dodicesimo Imam. Questi gli parlò della sua futura Apparizione e infine, chiamandolo per nome, gli chiese se volesse far ritorno alla propria casa e alla famiglia. Certamente, lo voleva. L’Imam fece segno ad uno dei suoi paggi, che diede al viaggiatore una borsa di monete e lo accompagnò guidandolo per il giardino. Viaggiarono insieme finché il viaggiatore vide un gruppo di case, una moschea e profili di alberi che gli sembravano famigliari. Sorridendo, il paggio gli chiese: “Conosci questo luogo?” “Vicino a dove abito in Hamadan'” rispose, “c’è una zona chiamata Asadabad, che ricorda esattamente questo posto”. E il paggio disse: “Ma tu sei ad Asadabad”. Stupito, il viaggiatore si accorse di essere davvero vicino a casa sua. Si girò, e il paggio non c’era più ed era rimasto solo, ma ancora aveva tra le mani il viatico che gli era stato donato. Non abbiamo detto poco sopra che il dove, l’ubi dell’ “ottavo clima” è l’ubiquità ?

Sono consapevole che questo racconto si possa commentare in molti modi, a seconda che siamo metafisici, tradizionalisti o no, o se siamo psicologi. Ma come conclusione provvisoria, preferisco limitarmi a porre tre brevi quesiti:

1.      Non apparteniamo più a una cultura tradizionale; viviamo in una civiltà scientifica che sta estendendo il suo controllo, si dice, alle immagini. E’ un luogo comune, oggi, parlare di “civiltà dell’immagine” (pensando ai nostri giornali, cinema e televisioni). Ma ci si chiede se, come tutti i luoghi comuni, anche questo non nasconda un radicale equivoco, un errore completo. Poiché invece che elevare l’immagine al livello di un mondo che le sarebbe proprio, invece che investirla di una funzione simbolica, rivolta al senso interiore, abbiamo soprattutto la riduzione dell’immagine al livello della percezione sensoria pura e semplice, e quindi la definitiva degradazione dell’immagine. Non dovremmo dire, dunque, che maggiore successo ottiene questa riduzione, più si perde il senso dell’immaginale, e più ci si condanna a produrre soltanto dell’immaginario?

2.      In secondo luogo, la prospettiva scenica di una storia come il viaggio all’Isola Verde, o l’incontro improvviso con l’Imam in un’oasi sconosciuta -  sarebbero possibili senza il fatto iniziale (Urphanomen) oggettivo, assolutamente primario e irriducibile, dell'esistenza di un mondo di immagini-archetipi, o immagini-sorgente, la cui origine è non razionale e la cui incursione nel nostro mondo è imprevedibile, ma di cui è necessario riconoscere il presupposto?

3.      In terzo luogo, non è esattamente il presupposto dell’obiettività del mondo immaginale che ci viene suggerita, o imposta, da talune forme o emblemi simbolici (ermetici, cabalistici o mandala) che hanno la capacità di creare la proiezione magica delle immagini mentali, così che assumano una realtà oggettiva?

Per indicare in che senso sia possibile rispondere alle domande sull’obiettiva realtà delle figure soprannaturali e degli incontri con esse, citerò soltanto un testo straordinario, in cui Villiers de L'Isle-Adam racconta del volto dell’imperscrutabile Messaggero dagli occhi di creta: “non si può percepire che con lo spirito”. Le creature sperimentano solo le influenze che appartengono alle entità arcangeliche. “Gli angeli” scrive “non esistono, in sostanza, che nella libera sublimità del Cielo assoluto, dove la realtà è unita all’ideale… Essi si esternano solo nell’estasi che provocano e che è parte di loro.”

Le ultime parole, un’estasi.. che è parte di loro, mi sembrano possedere una chiarezza profetica, poiché essi possono penetrare anche il granito del dubbio, paralizzare il “riflesso agnostico”, nel senso di spezzare l’isolamento reciproco della coscienza e del suo oggetto, di pensiero ed essere; la fenomenologia diventa ontologia. Senza dubbio, questo è il postulato implicito nell’insegnamento dei nostri autori a proposito dell’immaginale. Poiché non vi è alcun criterio esterno per la manifestazione dell’Angelo, che la sua stessa manifestazione. L’Angelo è di per sé ekstasis, il “dislocamento” o la partenza da noi stessi che è un “cambiamento di stato” rispetto al nostro stato di coscienza. Ecco perché queste parole ci suggeriscono anche il segreto dell’essere soprannaturale dell’ “Imam Nascosto” e della sua Apparizione nella coscienza Sciita: l’Imam è l’ ekstasis di quella coscienza. Chi non si trova nel suo stesso stato di coscienza non può vederlo.

A questo allude Sohravardi nel suo racconto “L’Arcangelo Cremisi” con le parole che abbiamo citato all’inizio: “Se sei Khezr, puoi passare senza difficoltà anche attraverso la montagna di Qaf”.

Marzo 1964

§§§


Henry Corbin (1903-1978), orientalista e filosofo, è uno dei più grandi pensatori del XX secolo. Allievo di Etienne Gilson e di Louis Massignon, a cui succede alla cattedra di Studi dell’Islam dell’Ecole Pratique des Hautes Etudes della Sorbonne, fu anche uno dei pilastri fondamentali, con, tra gli altri, C. G. Jung e M. Elide, del circolo Eranos dal 1949 al 1977, direttore del Dipartimento di Iranologia dell’Istituto Franco-Iraniano di Teheran dal 1946 al 1970, professore per più di trent’anni all’Università di Teheran e membro fondatore dell’Université de Saint-Jean de Jerusalem.

Henry Corbin ha rivelato all’occidente l’esistenza di un modo fino ad allora completamente sconosciuto: la profonda spiritualità dei grandi mistici sciiti e la filosofia sviluppata nell’oriente musulmano, in particolare in Iran, dopo la morte di Averroé. La sua opera, centrata sulla conoscenza e la spiritualità islamica, ma sviluppata nel contesto delle tre grandi religioni del monoteismo, comprende un numero considerabile di studi sui riti, così come sulle traduzioni e le edizioni degli antichi testi inediti, arabi e persiani, che recuperò egli stesso, pazientemente, nelle biblioteche di Turchia e dell’Iran.


GORAKHNATH E LA TRADIZIONE NATH

Goraksha Sataka

La Centuria dei Versi di Gorakhnath

Om! Incomincia la centuria di Goraksha sull'Hata Yoga!
1. Mi inchino al venerabile Guru Matsyendranath, supremo bene, incarnazione della gioia; la cui semplice prossimità trasforma il corpo in pura coscienza e beatitudine.
2. Colui che, in virtù della paatica dell'adhdrbandha e delle altre tecniche posturali, illuminato dalla luce della coscienza, è lodato come Yogi e quale essenza e misura del tempo, degli yuga e dei kalpa, Colui in cui il Signore, oceano di conoscenza e beatitudine, ha preso forma, Colui che è superiore a tutti gli attributi qualitativi, manifesti e immanifesti, questi, Sri Minanath, io saluto devotamente
3. Avendo salutato con devozione il proprio Guru, Gorakhnath descrive la suprema conoscenza, ricercata dagli yogi, che conduce al Bene supremo.
4. Per il bene degli Yogi, Goraksa espone la Centuria di versi la cui conoscenza è il percorso sicuro verso lo stato supremo.
5. Questa è la scala che porta alla liberazione, per cui la mente è distolta dalle gioie dei sensi e si rivolge allo spirito, e con cui si sfugge la morte.

 

SIṢYĀ DARSAN

OṂ. Dall'eterno, l'Om emerge. Dall'Om, lo spazio [ākāś] emerge. Dallo spazio, l'aria emerge. Dall'aria, il fuoco emerge. Dal fuoco, l'acqua emerge. Dall'acqua, la terra emerge. La forma della terra è la bellezza della Dea. La forma dell'acqua è l'aspetto di Brahma. La forma del fuoco è la maya di Vishnu. La forma dell'aria è il corpo di Dio. La forma dello spazio è l'ombra del Suono [Nad] La forma del Suono emerge dall'eterno.

ABHAI MĀĀTRĀ JOG

OM. Il lignaggio dei Perfetti, la via della saggezza, la vera terra, la postura naturale e il respiro, la medicina filosofale del respiro yogico, la grotta dell'autocontrollo, l'astinenza come perizoma, il decoro come cintura di castità, l'unità trascendente come scialle di meditazione, l'unione, l'Uddhiana Bandh, il vero mudra, la virtù come abito, il perdono come cappello, l'ardore come supporto, l'introspezione come sacca delle elemosine, la pazienza come bastone, la discriminazione come spada, la pratica ascetica come ruota, il chakra radice come ciotola per l'acqua, la mente come acqua, l'elisir come cibo, la compassione, la meditazione del segreto, il discernimento come libro, la lingua come alchimia...

 

GORAKSHA VACANA SAMGRAHA.

Le istruzioni di Gorakhnath. 

1. Alcune persone desiderano la non dualità, altri desiderano la dualità. Ma non troveranno la Realtà, che è sempre e ovunque la stessa, diversa dalla dualità e dalla non dualità.
2. Se il Dio (Shiva) a cui tutto va è immutabile, pieno, indiviso, allora oh! La maya, la grande illusione, le false nozioni di dualità e non dualità.
3. Si dice che il supremo Brahman sia libero dall'esistenza e dalla non esistenza, libero da distruzione e generazione, al di là di ogni concezione.
4. Coloro che conoscono la Realtà lo conoscono come infinito spazio, vera conoscenza e beatitudine, ignoto al ragionamento e all'esempio, al di là della mente, dell'intelletto e delle altre funzioni.
5. Shakti è inerente a Shiva, Shiva è inerente a Shakti. Si deve riconoscere che non c'è differenza tra essi, come tra la Luna e la sua luce.
6. Quindi Shiva senza Shakti non potrebbe fare nulla. Ma dacché è unito al suo potere (shakti), è causa di tutte le forme sensibili.
7. Dotato di infinita Shakti, Shiva perpetua il manifestarsi di tutte le forme, eppure rimane uno solo, senza secondo, nella sua propria forma.

Adi Nath, Matsyendra Nath e Goraksh Nath. L'origine della tradizione Nath.

Da tempo l'India è riconosciuta come un importante centro della vita spirituale, che ha esercitato grande influenza sullo sviluppo di tutta la civiltà umana. La storia del paese è stata sempre segnata dalle storie di diversi grandi santi, Siddha e MahaYogi, che appaiono di volta in volta a guidare l'umanità verso ideali più alti, grazie all'esempio delle loro vite illustri.

Alcuni aspetti degli insegnamenti dei Nath

La posizione metafisica dei Nath non è monista né dualista. E' trascendente nel più vero senso della parola. Essi parlano dell'Assoluto (Nath), al di là delle opposizioni implicite nei concetti di Saguna e Nirguna, o di Sakara e Nirakara. Perciò, per essi il fine supremo della vita è realizzare se stessi come Nath e restare eternamente radicati al di là del mondo delle relazioni. La via per conquistare tale realizzazione è detta essere lo yoga, su cui investono molta energia. Sostengono che la Perfezione non si posa raggiungere con altri mezzi, se non con il sostegno della disciplina dello yoga.

I Siddha e la Via del Rasa

Un Siddha è qualcuno che si dice abbia raggiunto poteri sovrumani (Siddhi) o un Jivanmukthi, un liberato in vita. Il termine potrebbe anche essere tradotto come il raggiungimento della perfezione o dell'immortalità. Tale Siddha dotato di un corpo divino (divyadeha) è Shiva stesso (Maheshvara Siddha). È il perfetto, che ha superato le barriere del tempo, dello spazio e dei limiti umani. Un Siddha nella sua forma idealizzata è liberato da tutti i desideri (anyābhilāṣitā-śūnyam), colui che ha raggiunto un'identità impeccabile con la Realtà suprema.

Gorakh Bani

Il Gorakh Bani è un poema sapienziale di epoca medievale attribuito a Gorakhnath, che enuncia in forma poetica le tesi più esoteriche e profonde dello yoga delle origini.

E’ un testo dei più misteriosi e affascinanti della tradizione tantrica. E’ il Sabad, la parola spontanea dell’illuminato, lontana dai canoni scolastici del vedanta e dello yoga, invece enigmatica e fitta di allegorie ermetiche e di riferimenti alla vita del monaco errante, dello Yogi e del Siddha, e all’esoterismo medievale. Perciò è un testo complesso, anti-intuitivo, ironico, poi beatifico e estatico, a tratti oscuro, comunque veloce, ritmato e vivace. Si tratta di un orizzonte di meditazione che è molto radicale rispetto a quelli in voga ai nostri giorni. 

A differenza del sapere religioso, il sapere che Gorakh incarna non può essere indicato tra le definizioni che sono postulate dai dotti, dalle usanze e dai sacerdoti. Egli è un sapere incarnato e vivente, sempre nuovo, imperituro e rinnovato dall’esperienza che nel tempo è maturata nella coscienza degli yogi che hanno intrapreso lo stesso cammino, che si illuminerà con l’immagine già misteriosamente addotta da Eraclito. “Un fanciullo che parla dall’alto dei cieli”.

L’immagine del Fanciullo divino è universale, sempre ricorrente là dove si voglia indicare il Mistero divino incarnato. Questo Fanciullo non ha nascita, non ha nome, è un presente eterno, inviolato. Il Sabad, la parola dello Yogi che lo incarna, è la sua stessa voce, senza nome. Sabad è dunque la voce stessa della Verità, dell’esperienza del Supremo.

Testo e commento del Gorakh Bani sono pubblicati 

su Satsang.it

Satsang a Pesaro e su Zoom. Percorsi di Meditazione, Dialogo, Conoscenza Sacra.

 

 

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